Per comprendere un film come Midsommar – Il Villaggio dei Dannati, il nuovo lungometraggio del regista di Hereditary – Le Radici del Male Ari Aster, bisogna collocarlo nel solco del rinascimento del cinema horror d’autore, che negli ultimi anni ci ha regalato capolavori come Noi – Us di Jordan Peele, Il Sacrificio del Cervo Sacro di Yorgos Lanthimos, Suspiria di Luca Guadagnino o Madre! di Darren Aronofsky. In piena consonanza col sentire del nostro tempo, infatti, Aster attinge a un immaginario fatto di tensione costante e ripugnante violenza esplicita, nonché a una dinamica narrativa costruita sulla minaccia ineluttabile; ma ne fa un pretesto per raccontare una storia di più ampio respiro e mettere in scena attraverso le tinte del terrore – e con una sorprendente libertà dai cliché politicamente corretti della Hollywood post-MeToo – tematiche come il lutto, la violenza psicologica tipica di certe dinamiche sentimentali e il pervertimento del sacrosanto concetto di autodeterminazione femminile.
MIDSOMMAR E QUELL’OSCURITÀ CHE RISPLENDE
Basta vedere poche immagini di Midsommar – Il Villaggio dei Dannati per comprendere il codice estetico che segna l’intero film: a differenza del ricorso al buio che è costante quasi assoluta del cinema horror, Ari Aster opta per quello che gli statunitensi chiamano ‘sunny scary’ e inonda il suo racconto di una luce invasiva e perenne; quella tipica delle terre del “sole di mezzanotte”.
Midsommar infatti è ambientato in Svezia, dove un gruppo composto da quattro amici americani laureandi in antropologia e dalla ragazza di uno di questi (la straordinaria Florence Pugh) si ritrova a fare una ‘vacanza studio’ in una comunità rurale che dopo un’attesa di 90 anni si accinge a celebrare un’importante festa di mezza estate. Lontano da ogni segno di modernità, nel mezzo di giganteschi prati in fiore, i protagonisti scopriranno le immorali convenzioni sociali di questi anacronistici campagnoli aggraziati e gentili, vestiti di lunghe tuniche bianche, con le teste cinte da ghirlande fiorite e che vivono in strutture di legno minuziosamente decorate con temi floreali e forti immagini di violenza e sesso (ritratte con colori tenui e un linguaggio iconografico dal sapore egizio e medievale). Mentre un perverso disegno di grazia e brutalità si guadagnerà lo schermo, il rapporto tra i due fidanzati americani sarà messo a dura prova.
DAI CULTISTI SVEDESI ALLE DELUSIONI AMOROSE DI ARI ASTER
Midsommar – Il Villaggio dei Dannati nasce dalla ferma volontà del prestigioso studio di distribuzione americano A24 (non a caso dietro anche a The Killing of a Sacred Deer) di capitalizzare il talento di Aster a ridosso della release di Hereditary, che con un budget di 8/10 milioni ne avrebbe incassati 80 worldwide (dei quali 44 solo sul mercato domestico). Convinti dal successo critico riscosso dal debutto del regista al Sundance Film Festival, i dirigenti di A24 contattarono il cineasta esordiente ancor prima che Hereditary arrivasse nelle sale per proporre uno slasher ambientato in Svezia e prodotto da B-Reel e Square Peg, ma non si giunse a un accordo per il poco entusiasmo dell’autore verso il pitch. Quando però Aster pensò di trasformare la storia e incorporarvi la tematica di una relazione di coppia che va incontro a una rottura complicata – esperienza allora appena vissuta sulla propria pelle – tutte le parti si resero conto di avere tra le mani un cavallo su cui puntare. Una scommessa rischiosa, però, dato che secondo le parole del cineasta stesso il concept era quello di un film su una separazione mascherato da folk horror («a breakup movie dressed in the clothes of a folk horror film»).
GLI STESSI TEMI DI HEREDITARY PER TOCCARE VETTE DI ALTISSIMO CINEMA
Ari Aster è solo al suo secondo lungometraggio, eppure ancora una volta ritroviamo tante tematiche già viste nel suo lavoro d’esordio: il lutto, l’esoterismo, il paganesimo, la teatralità, la crisi in un nucleo familiare, la figura dell’eletto, la ritualità, la deformità, una chiusura di grande potenza iconografica e finanche la componente grafica di volti martoriati. In comune con il precedente film infatti Midsommar ha una moltitudine di elementi, tanto da portarci a chiedere se ciò sia a causa di ripetitività e poca originalità da parte dell’autore o se sia il film che in qualche modo Aster avrebbe voluto sin dall’inizio, un consolidamento delle idee del debutto come a rivendicare con forza una poetica ben definita e voluta.
Non v’è dubbio che dopo Midsommar l’idea di cinema di Aster sia chiara a chiunque: il film infatti ha una potenza visionaria indiscutibile, e se per tante pellicole dell’orrore vale la regola del “trovata la location, fatto il film”, qui non solo vi è un’ambientazione capace di sedimentarsi con assoluta forza nell’immaginario cinefilo, ma ad essa si aggiunge una profondità rara per il genere – che potrebbe lasciare perplessi gli spettatori più pigri ma infiammare gli entusiasmi degli amanti di storie più meditative.
Con i tempi dilatati del montaggio di Lucian Johnston e con il gusto per il non detto e l’allegoria dell’Aster sceneggiatore, questo Midsommar – Il Villaggio dei Dannati – a prescindere da una fin troppo evidente somiglianza col predecessore – non solo riesce a rivendicare una propria fortissima identità (molto più netta che in Hereditary), ma tocca vette di altissimo cinema in praticamente ogni aspetto della confezione. In particolar modo la fotografia di Pawel Pogorzelski – aiutata dai movimenti di macchina di Aster – e i costumi di Andrea Flesch sono semplicemente mirabili, ed è incredibile che dietro alle superbe scenografie (che non ci stupiremmo di veder premiate dall’Academy nel 2020) ci sia un esordiente, Henrik Svensson.
Aster, accompagnandosi al cast tecnico già scelto per il suo debutto, vanta ora una maturità artistica incredibile e – scadenze permettendo – con quest’ultima fatica non avrebbe affatto sfigurato a Cannes o Venezia.
MIDSOMMAR È UN FILM FORTEMENTE POLITICO CHE SFIDA IL ‘PENSIERO UNICO’ DEL ME TOO
Per quanto abbia poco senso ragionare per compartimenti, Midsommar non appartiene solo alla categoria del cinema di genere, ma anche a quella del cinema d’autore. Con il pretesto degli studi antropologici e il discorso sul tabù, Ari Aster trasla il terrore dalla dimensione più consueta del ‘non conosciuto’ a quella ancor meno rassicurante del ‘non condiviso’: dietro gli abomini del suo villaggio fiorito ci sono consapevolezza, convenzioni sociali, a suo modo un senso immondo di pietas. C’è un microcosmo parallelo civile e spietato, con le sue regole e i suoi valori, che come ben dimostra il film possono esser repulsi o abbracciati e nei quali alberga la lettura simbolica di una contemporaneità divisiva che sempre più vede la barbarie come funzione del rito democratico.
Aster però non ragiona solo sulla società, ma affronta di petto, con un ottimo senso dell’ironia e senza troppa diplomazia, la questione femminile. Se infatti la figura incarnata da Florence Pugh ricorda alcuni aspetti della determinazione rancorosa della Lady Macbeth che ha dato notorietà all’attrice britannica, dall’altro la comprensione verso la complessa vita interiore di una ragazza dall’esistenza difficile non diventa una giustificazione per un percorso di redenzione e, anzi, il sempre più frequente topos della ‘donna forte’ viene ribaltato e parodiato, introducendo il tema della manipolazione e dell’illusorietà della libera scelta. Il tutto in un contesto di donne che, nella vita privata come in una micro-società matriarcale, finiscono per disporre degli uomini come credono e per ottenere in fine ciò che vogliono, giusto o sbagliato che sia.
Alla luce di quanto detto, Midsommar è un capolavoro visionario, allegorico e perturbante, che con grande coraggio si colloca fuori dal coro e che nel trattare il lutto e le pene amorose prende una strada esteticamente sublime e concettualmente perversa verso la trascendenza. Un’opera di altissima ambizione che dobbiamo necessariamente giudicare a prescindere dalle troppe somiglianze con l’esordio del regista. Rimane ora da vedere come se la caverà Aster quando dal prossimo film dovrà muoversi in direzioni nuove e inesplorate, ma per ora non possiamo che salutare la possibile nascita di un nuovo grande autore.
Midsommar – Il Villaggio dei Dannati è distribuito da Eagle Pictures a partire dal 25 luglio.
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