Sin dalla prima scena di Escape Room è chiara la natura del nuovo film di Adam Robitel, da non confondersi con l’omonimo b-movie del 2017 girato da Peter Dukes. Il film aggredisce lo spettatore trasportandolo in medias res, in quello che poi capiremo essere un flashforward, nel quale uno dei protagonisti cerca disperatamente un indizio o un qualche meccanismo che lo salvi da morte certa. Le pareti della stanza in cui si trova si stanno muovendo, trasformando quell’ambiente in una pressa mortale, e se è vero che la situazione l’abbiamo rivista almeno un milione di altre volte sul grande schermo, la straordinaria cura della scenografia e l’ottima regia contribuiscono a dare al tutto un sapore piuttosto fresco. Siamo infatti in un elegante studio che sembra quasi una wunderkammer, una stanza delle meraviglie, e mentre le mura si muovono vediamo oggetti da collezione più o meno rari che vanno incontro a un’inevitabile distruzione, arricchendo non poco di pathos e di carattere un momento cinematografico che altrimenti saprebbe di déjà vu.
ESCAPE ROOM E QUEI MODELLI HORROR CHE FUNZIONANO
È proprio questa la caratteristica principale della pellicola, che ora è disponibile in edizione DVD e Blu-ray Universal: come spesso succede negli horror più commerciali (tutt’altro rispetto ai vari Noi – Us, Madre!, Suspiria o Midsommar) il racconto ripercorre un canovaccio con cui lo spettatore ha già familiarità, nel quale la prevedibilità dell’orrore priva il pubblico di grandi sorprese ma garantisce una tensione costante verso l’inevitabile morte di turno. Così Escape Room rientra perfettamente in almeno un paio di topoi del cinema di genere, e cioè quelli della trappola mortale e quello del gioco malefico, ma in compenso cavalca anche la moda sempre più diffusa delle escape room, giochi di ruolo e astuzia ormai presenti in ogni città nei quali un gruppo di amici accetta di essere ‘chiuso’ in un locale più o meno tematizzato dal quale potrà uscire solo dopo aver risolto una serie di enigmi.
Come in tali casi, così nel film sei sconosciuti si ritrovano ad accettare di partecipare a una escape room nella quale sarà però presto chiaro che la posta in gioco è la sopravvivenza. Tra essi due volti noti al pubblico Netflix: la Taylor Russell di Lost In Space e la Deborah Ann Woll di Daredevil.
UN PO’ SAW E UN PO’ CUBE, NON INNOVA MA INCOLLA ALLO SCHERMO
Guardando Escape Room non possono che venire alla mente predecessori più o meno noti, tra i più prestigiosi dei quali annoveriamo senza dubbio il cui Saw – L’Enigmista (2004) di James Wan, di cui ritroviamo la sadica meccanica narrativa del ricatto che condanna a morte i meno inclini alla sopravvivenza a tutti i costi, e il mai abbastanza celebrato Cube – Il Cubo (1997) del talentuoso Vincenzo Natali, la cui meccanica narrativa da labirinto dell’orrore troviamo qui replicata quasi fedelmente. A dare però carisma all’insieme e a suscitare l’interesse dello spettatore c’è sia la tematizzazione continuamente diversa delle stanze (in certi casi veri e propri allestimenti scenografici), che garantisce infinite possibilità anche per futuri sequel, sia la grande perizia realizzativa che coinvolge un po’ tutti i reparti artistici e tecnici e che è il vero punto di forza della pellicola.
Non stupisce che, effettivamente, un seguito sia già in programma per il 2020 sempre per la regia di Robitel: pur non brillando per innovatività il film funziona benissimo ed è una vera gallina dalle uova d’oro, con 156 milioni di botteghino contro i 9 milioni di budget. Dal canto nostro non possiamo che suggerirne la visione agli amanti del genere ma anche a chi sia alla ricerca di un thriller particolarmente teso.