A sei anni da Piccola Patria, presentato in concorso nella sezione Orizzonti, Alessandro Rossetto fa il suo approdo nella sezione Sconfini a Venezia 76 con Effetto Domino, film liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Romolo Bugaro che arriva nelle nostre sale il 3 settembre cn Parthénos Distribuzione. Il regista accende i riflettori sul Triveneto e sul sistema economico globale, un racconto minuzioso di un dramma sempre più ricorrente nell’Italia (ma non solo) di oggi.
Ambientata in una cittadina termale del Nord-Est, la pellicola narra l’ambizioso progetto dell’impresario edile Franco Rampazzo (Diego Ribon) e del suo sodale geometra Gianni Colombo (Mirko Artuso): convertire venti hotel abbandonati in residenze di lusso per pensionati facoltosi di tutto il mondo. Gli anziani come una macchina da soldi e una tranquilla cittadina veneta come meta di pellegrinaggio per trascorrere gli ultimi anni di vita nell’agio: niente a che vedere con le classiche cliniche dove andare a morire, dunque. Ma Rampazzo e Colombo devono fare i conti con il mondo globalizzato, con il pesce grande che mangia il pesce piccolo che sta dall’altra parte del mondo, in Cina: il mancato sostegno economico delle banche dà il via ad un effetto domino che va a colpire, detonandola, la struttura messa in piedi da imprenditori, operai, grandi aziende e piccoli fornitori per realizzare il progetto.
EFFETTO DOMINO, UNA STORIA UNIVERSALE
Una sceneggiatura molto elaborata con diverse chiavi di lettura: quella raccontata in Effetto Domino è una storia universale, una vicenda dinamica che ha molti cambi di prospettiva improvvisi. Lo sviluppo della trama consente allo spettatore di conoscere i personaggi sempre più chiaramente per ciò che sono, un dramma locale che assume toni globali: il dialetto veneto e l’Oriente, il piccolo imprenditore e il deus ex machina dell’economia internazionale, il duro lavoro e la macchinazione del potere. Incontri che, come accade nella realtà, vedono prevalere sempre i più forti, a discapito di chi ha costruito fortune con il sudore, “senza mai un giorno di vacanza” racconta nel film la moglie di Franco Rampazzo.
E Rossetto racconta una tragedia sempre più attuale accendendo i riflettori su tematiche come il tradimento e la vecchiaia, la cecità causata dal Dio denaro e la paura della morte. L’onestà e il grande cuore vengono sconfitti nettamente dall’arrivismo. I tanto decantati “poteri forti” hanno la meglio su tutto e tutti, sui lavoratori e sulle loro famiglie. Poi la guerra tra sconfitti, un effetto domino su larga scala: operai contro piccoli fornitori, piccoli fornitori contro grandi aziende, grandi aziende contro i responsabili del progetto fallito. Fino alla disperazione e alla morte, il denaro che ha la meglio sull’esistenza.
«NON SIAMO PIÙ CONTADINI»
«Non siamo più contadini»: una frase che rappresenta una delle chiavi di lettura del Triveneto contemporaneo, dove è ambientato Effetto Domino. Alessandro Rossetto segue con la sua macchina da presa i repentini cambiamenti del territorio, mostrando allo spettatore i segni ancora tangibili. E il Nord-Est è uno dei grandi protagonisti del lungometraggio prodotto da Jolefilm con Rai Cinema: inevitabile la scelta di tenere il dialetto veneto, la lingua madre qui diventa simbolo e aiuta a entrare nella conoscenza dei personaggi. L’inglese e l’italiano sono un’esclusiva dei “vincitori” di questa sanguinosa vicenda: pensiamo al dottor Vockler (Marco Paolini), un uomo cinico che non è ben chiaro se sia tedesco, triestino o slavo. Un uomo con la valigia che orchestra il disastro economico direttamente dalla Cina senza alcun tipo di rimorso o di ripensamento.
Un film potente e doloroso, non privo di difetti ma drammaticamente vero: Alessandro Rossetto fa un ulteriore passo verso la finzione e riesce a convincere grazie ad un’ottima sceneggiatura, scritta a quattro mani insieme a Caterina Serra. Il glaciale commento fuori campo di Paolo Pierobon offre allo spettatore la possibilità di comprendere al meglio le dinamiche e i personaggi in gioco, dando forza e tenacia alle sue parole con l’incedere del racconto. Un cast ben assortito offre alcune sequenze degne di note, basti pensare al finale ricco di pathos.