«Tieniti stretti gli amici, ma soprattutto i nemici»: è così che recita il detto. Ma nelle mani del regista Rodrigo Sorogoyen, che proprio in questi giorni concorre alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti con il bellissimo Madre, si trasforma in «guardati dai nemici, ma soprattutto dai compagni di partito». Il Regno (titolo originale El Reino), presentato nel 2018 in anteprima italiana al Torino Film Festival e dal 5 settembre nelle nostre sale con Movies Inspired, vede infatti come protagonista Manuel Lòpez Vidal (il bravissimo Antonio de la Torre, già visto in La Vendetta di un Uomo Tranquillo, Una Notte di 12 anni e Abracadabra), vicesegretario regionale di partito la cui vita apparentemente perfetta viene stravolta dal trapelamento di alcune importanti informazioni che ne denunciano la corruzione. Da questo momento saranno in pericolo anche gli alti vertici politici a lui collegati, che decideranno però di scaricare tutta la colpa su di lui, voltandogli le spalle in nome di una trasparenza ipocrita. Manuel Vidal, vittima e carnefice del suo stesso sistema, si scontrerà con poteri forti quanto pericolosi, pur di smascherare una corruzione colletiva.
IL REGNO, UN VORTICOSO THRILLER DI DENUNCIA POLITICA PREMIATO CON 7 GOYA
L’importanza di un film come Il Regno si percepisce soprattutto dalla sua collocazione temporale. In una scena del film, vediamo il protagonista e i personaggi girare in barca un video con un cellulare all’avanguardia e di nuova generazione: è quello che per noi oggi è un semplice iPhone. Un oggetto innocente che però colloca la nostra mente e le nostre coscienze in un periodo storico ben preciso. Le crisi economiche europee, il conseguente disfacimento dei governi, il ritorno dei partiti populisti, sia di destra che di sinistra. Sotto questa luce il regista Sorogoyen cerca di raccogliere il malcontento spagnolo e in generale quello europeo. Lo fa con un film davvero notevole e con pochi difetti. Perciò non stupisce sapere che la pellicola ha vinto ben sette Premi Goya.
Il tono scelto è quello del thriller, che assicura a un tema del genere di venire accettato e metabolizzato da un pubblico che ogni giorno, nella propria vita privata, vi si scontra. La messa in scena che il regista sceglie per Il Regno è quella del vortice, in un crescendo di tensione e adrenalina continuo e senza sosta. Un climax che non si arresta neanche quando la macchina da presa si sofferma a lungo su alcuni passaggi, complice la colonna sonora di Oliver Arson, che persistente e calibrata al punto giusto movimenta anche i tempi più dilatati.
ANTONIO DE LA TORRE INCARNA UN ANTIEROE RESPINGENTE MA AFFASCINANTE
Un enorme lavoro anche quello della sceneggiatrice Isabel Peña, in grado di costruire uno script intero sulla caratterizzazione di un personaggio complesso. Una specie di antieroe che il pubblico non potrà mai apprezzare fino in fondo proprio per il suo essere il perfetto politico criminale. Ma che allo stesso tempo non potrà fare a meno di seguire con sguardo curioso, sperando che riesca nella sua impresa.
Il lavoro monumentale che ha fatto Antonio de la Torre è quello che assicura al film la bellezza che lo caratterizza. La sua è una recitazione istrionica eppure mai esagerata, travolgente, impossibile da dimenticare, che basterebbe da sola a reggere ogni sequenza. Il suo Manuel, unito alla messa in scena di Sorogoyen, ci accompagna lungo quella spirale che conduce al finale adrenalinico e di impatto sicuro, perfetto per raccontare in maniera epica una caduta. Quella di un regno, appunto, il partito di Manuel, che dimostra di essere ben protetto da alte cariche, stampa e reti televisive. La caduta di un uomo, fedele al porprio schieramento, lo stesso che però gli volterà le spalle. La caduta di tutto quel sistema di valori che deve governare un popolo secondo il bene comune e la legalità. Ma soprattutto la caduta e la sconfitta della coscienza di chi guarda. Pare che non ci si stanchi mai di sopportare, aspettando che qualcun altro faccia per noi la rivoluzione. Allora Sorogoyen cerca di darci uno schiaffo, di svegliarci, e ce lo dice chiaramente, tra le parole lasciate in sospeso di una giornalista che interroga Manuel Vidal.