L’Uccello Dipinto cui fa riferimento il titolo di The Painted Bird è quello del romanzo datato 1965 di Jerzi Kosinski, celebre autore polacco noto principalmente per il suo Oltre Il Giardino (da cui venne adattato l’omonimo film con Peter Sellers). Un libro spietato e nero come la pece, che Kosinski volle far credere autobiografico e che oggi Václav Marhoul porta sul grande schermo passando dal prestigioso concorso della 76a Mostra del Cinema di Venezia.
Il regista, sceneggiatore, attore e produttore ceco, senza grandi successi alle spalle e giunto al suo terzo lungometraggio, stupisce con una potentissima galleria degli orrori che pur trasportandoci negli ultimi giorni della II Guerra Mondiale non somiglia in alcun modo a un film di guerra, ma quasi più a un profondo e doloroso torture movie a episodi nel quale il giovanissimo protagonista si imbatte una dopo l’altra nelle più violente, perverse e indescrivibili bestialità.
L’UCCELLO DIPINTO È UN FILM SHOCK SUL VIAGGIO DI UN BAMBINO NEL CUORE DELL’INFERNO
L’Uccello Dipinto – The Painted Bird non dà molte coordinate agli spettatori (coerentemente con il materiale di partenza). Petr Kotlár, giovanissimo e straordinariamente talentuoso debuttante, dà il volto al protagonista; un bambino senza nome, forse ebreo, forse zingaro. Dopo esser stato affidato dai genitori perseguitati alle avare cure di un’anziana contadina che di lì a poco morirà, si ritrova senza più nessuno al mondo e senza un tetto sulla testa. Da lì per lui inizierà un vagabondaggio fatto di stenti e orrori, nel quale solo e impotente si imbatterà nel peggio del genere umano quasi che le frontiere slave fossero dei gironi infernali. Tra pestaggi, stupri, torture, vessazioni psicologiche, omicidi, pedofilia, razzismo, zoofilia, violenze sugli uomini e sugli animali, suicidi, tradimenti, esecuzioni di donne e bambini, il film farà della guerra la metafora degli anfratti più bui dell’animo umano, con un’esplicitezza che raramente si trova al di fuori del cinema horror.
UN ALLESTIMENTO CRUDO E SEVERO TRA ARTHOUSE E CINEMA DEGLI ECCESSI
In L’Uccello Dipinto – The Painted Bird Václav Marhoul dà dimostrazione di un gusto straordinario e di una rara maestria dietro la macchina da presa, e complice l’iconica fotografia in bianco e nero di Vladimír Smutny allestisce un magnetico lavoro di 2 ore e 49 minuti in pellicola 35mm che, con il suo carattere monumentale ma intimo, ruba per la sua intera durata l’attenzione dello spettatore.
Non un film di guerra – ripetiamo – ma un asciutto e mai pietoso affresco della guerra dichiarata dalla bestialità innata nell’esperienza umana a quelle aspirazioni al bene e alla luce che pur coesistono in essa. Una sarabanda del male, quasi ai limiti del film muto e senza alcun commento musicale, nella quale senza alcuna retorica (operazione difficilissima) un bambino ‘diverso’ deve scontare tutti i peccati del mondo come fosse un’inconsapevole figura cristologica. Un allestimento del concetto di homo homini lupus in cui però il bene trapela e ci richiama con la sua assenza, così come, nonostante il viaggio nell’orrore, il giovane protagonista – che pure uscirà compromesso dal racconto – continua a reclamare un ritorno a casa, continua a desiderare qualcosa di buono e di migliore.
DA HARVEY KEITEL A UDO KIER UN CAST STRAORDINARIO PER UN FILM DESTINATO A TURBARE
Sono 11 gli anni che ci sono voluti a Marhoul per realizzare il film che ha sempre voluto girare. Undici anni di trattative per l’acquisizione dei diritti, di scritture e riscritture, di corteggiamento del cast e di reperimento dei fondi. Undici anni che però hanno dato i loro frutti, tanto che una pellicola a modesto budget e con un appeal di distribuzione a dir poco debole riesce comunque ad avere un cast di grandi nomi: ad alternarsi nei 9 capitoli troviamo infatti Harvey Keitel, Udo Kier, Stellan Skarsgård, Julian Sands e Barry Pepper.
L’Uccello Dipinto – The Painted Bird è un lavoro di rara potenza, nel quale il giudizio morale è tanto implicito che quasi nel finale se ne sente la mancanza, e che di certo metterà a dura prova il pubblico per la forza grafica delle sue scene esplicite – nell’anteprima per la stampa al Festival di Venezia quasi la metà dei presenti ha finito per abbandonare la sala prima della fine. Attenzione però a credere che il film non valga la visione: perverso e perturbante come un quadro di Francis Bacon, ci richiede di guardare dritto dentro la pece e in essa perderci. Qualcosa forse poteva essere migliorata nell’adattamento dalla pagina scritta, e se gli ultimi venti minuti (i più consolatori) risultano anche i più deboli, il meraviglioso episodio che dà il titolo al film e che ritroviamo a metà durata avrebbe rappresentato una conclusione dalla perfetta espressività simbolica: un uccello in gabbia, in procinto di esser liberato alla presenza di uno stormo di suoi simili, viene dipinto come segno di omaggio prima che gli venga permesso di librarsi in volo, ma quando raggiunge la sua ‘famiglia’, proprio in virtù di quei colori, viene percepito come diverso dagli altri volatili e quindi ucciso impietosamente dagli stessi. La libertà è la più nobile delle aspirazioni, ma chi dovrebbe accoglierci può anche respingerci e decretare il nostro tormento: il messaggio è a dir poco attuale.