Miglior film della sezione Orizzonti a Venezia 76, Atlantis di Valentyn Vasyanovych è sicuramente una delle pellicole più interessanti di questa edizione del Festival diretto da Alberto Barbera. Negli ultimi anni sono stati girati diversi lungometraggi incentrati sul conflitto tra Russia e Ucraina, ma il regista di Zhytomyr riesce a offrire uno sguardo originale e ben poco convenzionale sulla recente crisi. Ambientato in un futuro molto prossimo, precisamente nel 2025, Atlantis racconta la storia dell’ex soldato Sergeij (Andriy Rymaruk), che deve fare i conti con lo stress post-traumatico e un Paese devastato dal conflitto sia dal punto di vista economico che – soprattutto – ambientale. Quando la fonderia in cui lavora chiude i battenti, decide di unirsi alla missione umanitaria Black Tulip, specializzata nel recuperare i cadaveri di guerra. Tra difficoltà e momenti di sconforto, Sergeij incontra l’ex archeologa Katya (Liudmula Bileka): sarà lei a dargli le risposte alle domande rimaste intatte per lungo tempo…
ATLANTIS, LA FANTASCIENZA PER RACCONTARE IL DONBASS
Scoppiata nell’aprile del 2014, la guerra dell’Ucraina orientale ha lasciato profonde ferite nel Donbass a livello politico ma non solo: migliaia di morti e feriti, tregue e controffensive, tracolli a livello economico e danni irreversibili all’ambiente. Quest’ultimo punto in particolare è al centro di Atlantis, che profila un destino non tanto distante da quello dell’attuale Chernobyl: l’acqua avvelenata penetrata in pozzi e fiumi trasformerà il bacino del Donec in un deserto. Il conflitto nella regione è tutt’altro che terminato, ma un primo effetto irreversibile è già agli atti: l’acqua tra qualche tempo non sarà più potabile e, al massimo tra una decina di anni, ci saranno tragedie simili a quelle registrate dopo il disastro del 26 aprile 1986 presso la centrale nucleare V.I. Lenin. Valentyn Vasyanovych affronta una questione scomoda da una prospettiva mai considerata finora dalla cinematografia ucraina, che non può fare plasticamente a meno di uno scenario apocalittico: luoghi devastati, miniere abbandonate, terreni incolti, ma anche case disabitate e disoccupazione.
L’AMORE IN UN LUOGO SENZA SPERANZA
Una trama ricercata per una regia sopraffina: Atlantis scava nell’animo umano in uno scenario senza speranza. E anche in un luogo come questo – inadatto per l’abitazione – è possibile trovare l’amore, motore per continuare a vivere e non fare la fine di molti, che hanno deciso di farla finita dopo l’orrore della guerra. Katya rappresenta la speranza per Sergeij, che ha vissuto il dramma del conflitto in prima persona tanto da perdere tutto: lei è la chiave per lottare per la vita e, soprattutto, per accettare sè stesso. Il sentimento come unica via d’uscita, un mondo distrutto dagli uomini che può rinascere grazie alle donne.
A livello tecnico Valentyn Vasyanovych – che cura anche fotografia e montaggio – si conferma come uno dei cineasti più interessanti della scuola ucraina: il 48enne sfrutta i piani sequenza tipici dei documentari con piani fissi e ben curati. Sequenze potenti ma anche molto dure, al punto da entrare nell’anima dello spettatore, che è completamente immerso nelle situazioni affrontate da Sergej. Il cast è ben assortito, sontuosa l’interpretazione di Andriy Rymaruk: nessuno come lui, ex militare, avrebbe potuto raccontare le sofferenze e il dolore del conflitto russo ucraino.