Soprattutto negli USA si è fatto un gran parlare di Euphoria, teen drama americano che racconta di un gruppo di studenti delle superiori che navigano fra droghe, sesso, identità, traumi, social media, amori e amicizie. La serie di Sam Levinson (il regista dell’ottimo Assassination Nation) è stata prodotta da A24 Television – divisione della compagnia indie che in meno di 7 anni di attività ha ottenuto 25 nomination agli Oscar – è stata trasmessa da HBO oltreoceano, mentre da noi la messa in onda è prevista dal 26 settembre su Sky Atlantic.
Su Euphoria – che in realtà è il remake di un’omonima serie israeliana trasmessa in patria fra il 2012 e il 2013 e creata da Ron Leshem – si è scritto tantissimo, specialmente prima della sua messa in onda. Titoli sensazionalistici evidenziavano quando la serie fosse controversa, scandalosa, esplicita, piena di amplessi e di adolescenti che assumono droghe. Se all’equazione aggiungete poi la fama che hanno i prodotti HBO – tutti “sesso, violenza e sangue” – avrete una serie televisiva attorno alla quale si è creata una curiosità morbosa. Eppure al di là del marketing, su questa serie ci sono tantissime così da dire.
L’EVOLUZIONE DEI PERSONAGGI DI EUPHORIA È SORPRENDENTE
La protagonista principale di Euphoria è Rue Bennett – interpretata dalla ex star Disney Zendaya, vista recentemente anche in Spider-man: Far From Home – una diciassettenne che ha passato la maggior parte dell’estate in ospedale dopo aver rischiato di morire per overdose; una tossicodipendente nichilista che non vuole ricevere aiuto e pensa solo alla propria lenta e inesorabile autodistruzione, ma che nel corso della serie si legherà particolarmente a Jules Vaughn (interpretata dalla modella e attivista transgender Hunter Schafer), una ragazza dal passato complicato che si appena trasferita in città e che è ossessionata dalle dating app. A condividere lo schermo troveremo anche Nate Jacobs (Jaboc Elordi, il Noah Flynn di The Kissing Booth), il classico “belloccio” atletico che fa il quarterback nella squadra di Football liceale ed è popolare in tutta la scuola.
Nella scrittura dei personaggi non c’è certamente nulla di rivoluzionario o scandaloso. I protagonisti di Euphoria sono dunque più tipi che individui, poiché le loro caratteristiche sono la sintesi di anni di cinema e produzione narrativa ambientata nei licei. Per questa ragione nella serie ritroviamo tutti i personaggi canonici del romanzo di formazione americano: l’atleta bello e popolare, la ragazza timida che non ha successo con gli uomini, la giovane problematica e ribelle o la ragazza appena trasferitasi in città che fa fatica ad integrarsi. Ciò che hanno fatto Sam Levinson – e prima di lui Leshem – è stato portare fino al punto di rottura ogni personaggio, accentuando e inasprendo i difetti e i tratti caratteristici di ognuno di loro. Rue da semplice “ribelle” diventa una vera e propria tossicodipendente – che assume letteralmente ogni tipo di droga pesante – mentre Nate incarna a tratti la peggior versione del ‘maschio alfa’, uno che crede che per la propria popolarità gli sia dovuto tutto ed è pronto a “sconfiggere” i propri rivali per una ragazza.
L’intento di Euphoria è quello di mostrare dei personaggi che agli occhi di molti spettatori sono totalmente negativi. Nella serie di Levinson non ci sono molte “zone grigie”, i confini sono perlopiù netti e facilmente distinguibili. Rue Bennett non ha scuse: è una tossica, sta rovinando la sua famiglia e non ha motivo per farlo. Assume sostanze per pura dipendenza e, almeno durante le prime puntate, non ci vengono date ragioni per giustificarla o provare empatia verso di lei. Ancor più accesa è la distinzione fra femminile e maschile, due mondi che non sono “in conflitto” quanto piuttosto, secondo Euphoria, inconciliabili.
Nonostante un incipit abbastanza piatto, i protagonisti di Euphoria diventano mano a mano più interessanti, originali e “umani”. Nella serie di Levinson i problemi che affliggono gli adolescenti non sono certamente innovativi – seguiamo le vicende di una ragazza che non si sente abbastanza bella (Kat Hernandez), una che si sente troppo bella e viene considerata stupida (Cassie) o di un atleta appena approdato al college che si sente insicuro (McKay).
Grazie alle digressioni sui protagonisti che troviamo durante l’incipit di ogni episodio, alle relazioni e ai dialoghi fra Rue e i suoi amici e infine grazie ai rapporti sessuali – espliciti o meno – ai quali prendono parte i personaggi di Euphoria, riusciamo ad entrare in quella scuola, in quelle classi e in questo preciso momento storico per la società americana.
IN EUPHORIA UNA VISIONE DEL SESSO RIVOLUZIONARIA
In Euphoria gli uomini e le donne sono raccontati in modo ben distinto: i primi sono cacciatori e le seconde sono prede. All’inizio del primo episodio seguiamo un gruppo di ragazzi che a torso nudo si prepara ad una festa parlando di quale ragazza sia “la più puttana” fra quelle del liceo mentre si passano le foto erotiche di Cassie Howard – Sydney Sweeney, la Eden Spencer di The Handmaid’s Tale e la Alice di Sharp Objects – una loro compagna il cui fidanzato ha diffuso delle immagini intime e private.
I discorsi degli uomini sono pieni di frasi come queste: “Scopala per la puttana che è” o “Dai quello che si merita a quella troia”. Le donne invece hanno una visione edonistica e sentimentale del sesso, che viene visto come una sanissima forma di piacere. In ogni caso, in Euphoria – ad eccezione di Rue – tutti i personaggi inseguono il sesso in modo morboso. Ragazzi e ragazze lo leggono in chiave diverse ma entrambi non possono fare a meno di cercare attivamente un amplesso, poco importa se fatto con uno sconosciuto o con una persona a cui si è legati.
Se la differenza di scrittura fra uomini e donne la affrontiamo nel paragrafo successivo, è doveroso sottolineare come Euphoria parli in modo ‘rivoluzionario’ del sesso fra adolescenti. Finalmente un prodotto televisivo ‘di massa’ mette allo stesso livello il desiderio degli uomini e delle donne.
IL LICEO COME MICROCOSMO DELLA SOCIETÀ AMERICANA POST TRUMP E WEINSTEIN
Euphoria raccoglie saggiamente ciò che lo scandalo Weinstein ha seminato: quella “toxic masculinity” su cui tanto si è dibattuto sugli organi di stampa americani. È un tema attualissimo, scottante e più che mai interessante. Dopo le innumerevoli testimonianze di varie donne americane in merito a un ambiente di lavoro ostile e machista, è lecito chiedersi se questa “mascolinità tossica” non sia presente anche negli ambienti scolastici.
La serie di Levinson è infatti un’opera di finzione manifestamente basata sull’attualità, in particolare su quelle che sono le conseguenze dell’affermazione dell’America trumpista e del post-Weinstein. Euphoria cerca di raccontare, tramite il microcosmo liceale, una società a stelle e strisce che è a trazione maschile e machista; una forma mentis particolarmente di moda negli ambienti universitari, all’interno dei quali si consumano quotidianamente aggressioni o stupri che sono stati raccontati benissimo in The Hunting Ground (nominato anche agli Oscar per la categoria Miglior Canzone con ‘Till it happens to you di Lady Gaga).
Gli uomini pertanto sono dispotici, aggressivi e autoritari. Ragionano fra di loro come se fossero animali, venendo alle mani piuttosto che discutere. Considerano le donne altrui o single come prede e le proprie come degli “oggetti da proteggere”. È una lettura estrema, una “versione dei fatti” che tende certamente alla generalizzazione ma che è indubbiamente di impatto e coerente con lo zeitgeist.
La forza provocatrice di Euphoria però non sta soltanto nel racconto delle relazioni fra uomini e donne, quanto piuttosto nella non-esistenza di censure a livello di immagini. Le foto di Cassie nuda vengono mostrate esplicitamente sullo schermo, così come in una scena nello spogliatoio sono ben visibili decine di peni che occupano lo schermo. Non sono forzature visive, bensì scelte di grammatica cinematografica corrette: riprendere un amplesso dall’inizio alla fine è naturale se necessario ai fini della trama.
ZENDAYA, RUE BENNETT E UNA STORIA CHE APPARTIENE A UN SOLO PERSONAGGIO
Nell’ultimo periodo abbiamo visto diverse superstar Disney fare il salto nel mondo del cinema e della televisione più maturo. Le più famose sono Miley Cyrus e Bella Thorne, idoli delle ragazzine prima e icone ribelli poi. Zendaya – nome d’arte di Zendaya Maree Stoermer Coleman – è riuscita a passare da un mondo all’altro facendo meno rumore, entrando in punta di piedi. Ha partecipato a Spider-man: Homecoming e a The Greatest Showman, è stata una concorrente di Ballando con le stelle – la versione americana, ovviamente – e ha pubblicato un suo primo album che ha riscosso un ottimo successo.
In poche parole, nonostante l’indubbio talento di Zendaya, il ruolo della tossicodipendente “complessata” le si addice davvero poco. Zendaya non è e non sarà mai Miley Cyrus o Bella Thorne, nel senso che non possiede quel profilo – e quel fascino controverso – da personaggio fuori dagli schemi, imprevedibile e moralmente deprecabile. L’ex star Disney ha carisma ma non riesce a dare quel quid tormentato a un personaggio che già di per sé non ha una grandissima tridimensionalità. Inoltre – e questa è una scelta drammaturgica precisa – Rue ha una storia tutta sua, nella misura in cui non ha grande influenza su quello che succede in Euphoria. Il personaggio interpretato di Zendaya rimane sostanzialmente isolato dal resto della scuola, come ad evidenziare quanto la tossicodipendenza possa alienare un individuo, specialmente se così giovane. Nulla di nuovo, anzi, ma il fatto che i momenti chiave del suo arco evolutivo siano legati ai fantasmi del passato (in particolar modo il rapporto con la famiglia) e a un cliffhanger finale particolarmente spettacolare e visionario, contribuisce a incardinare la sua figura quasi solo sul paradigma della tossica tormentata.
In conclusione, Euphoria è una serie certamente di alto livello: per le case di produzione che ci sono dietro, per la splendida e sofisticata regia – tipica dei prodotti targati A24 – capace di momenti molto ispirati e soprattutto grazie a un grandissimo comparto tecnico che garantisce alla serie di Levinson una cura nella fotografia e nel montaggio poco frequenti nei teen drama. A completare l’opera ci pensano una colonna sonora variegata e azzeccata – pezzi contemporanei, canzoni dall’altro secolo e una meravigliosa scena con My Body Is a Cage degli Arcade Fire – e un gruppo di truccatori e costumisti che sono stati in grado di restituire la personalità di un qualsiasi protagonista con un semplice paio di scarpe o con l’applicazione di fantasiosi brillantini attorno agli occhi di Jules.