Johnny Mnemonic, film del 1995 con Keanu Reeves diretto da Robert Longo, è un capitolo importante della non corposissima filmografia cyberpunk. Un’opera distopica che – ancor più se vista oggi – presenta un futuro dal sapore vintage nonostante tratti argomenti ancora di grande attualità, e che è da poco disponibile in una nuova edizione home video per il nostro paese grazie a CG Entertainment e a Mustang Entertainment.
JOHNNY MNEMONIC: KEANU REEVES CON UN HARD DISK INSERITO NEL CERVELLO
Johnny Mnemonic è ambientato in un 2021 nel quale parte della popolazione è contaminata da una micidiale malattia epidemica causata dalla sovraesposizione alle apparecchiature tecnologiche. Johnny (Keanu Reeves) è un corriere mnemonico che ha impiantato nel cervello un microchip pronto a trasportare software e dati preziosi da contrabbandare; la fortuna del protagonista è l’enorme quantità di informazioni che può immagazzinare ovvero 160 gigabyte (oggi sorridiamo ma all’epoca quel valore equivaleva a 200 volte la capienza massima degli hard disk). Quando viene reclutato per trasportare alcuni dati aziendali trafugati dalla potente multinazionale Pharmakom, guidata da Takahashi (Takeshi Kitano), Johnny è costretto a fuggire dalla Yakuza, assoldata per recuperare la sua memoria digitale con un metodo molto tradizionale, la decapitazione. In aiuto di Johnny arrivano la guardia del corpo Jane (Dina Meyer) e una comunità di hacker, i Lo-Tek guidati da J-Bone (il rapper Ice-T), che si è ribellata al dominio delle multinazionali.
GLI UMANI CIBERNETICI DI WILLIAM GIBSON
Dietro questo stratificato immaginario distopico e cibernetico c’è la mente di William Gibson. Non uno scrittore qualunque, anzi: lo statunitense è considerato uno dei padri del cyberpunk letterario e, fra le varie cose, è ricordato per aver inventato il termine cyberspazio. Autore di fantascienza fin dal 1977 (con l’inestimabile raccolta Frammenti Di Una Rosa Olografica), Gibson e le sue storie sono state costantemente (e inspiegabilmente) ignorate dagli sceneggiatori di Hollywood che, per il cinema di fantascienza, hanno sempre preferito attingere ai lavori di Philip K. Dick. Solo nel 1987 Gibson venne chiamato per contribuire allo script di Alien³ ma, a causa di uno sciopero degli sceneggiatori, la sua collaborazione venne bruscamente interrotta (il film, poi diretto da David Fincher, fu girato con altro materiale ben cinque anni dopo). Fu proprio Johnny Mnemonic ad aver rappresentato una delle poche (assieme a New Rose Hotel di Abel Ferrara) trasposizioni cinematografiche delle opere di Gibson, l’omonimo racconto contenuto ne La Notte Che Bruciammo Chrome. Un lavoro che mette in fila tutti gli elementi più visionari dell’immaginario futuristico dello scrittore e, in particolare, il rapporto tra uomo e tecnologia: nei corpi dei suoi personaggi sono innestati dispositivi cibernetici che diventano essi stessi delle estensioni della mente umana.
LA PRODUZIONE, LA PROMOZIONE DEL FILM E IL FLOP
Nonostante Gibson e il regista Robert Longo non fossero alla ricerca di grandi budget, con un po’ di sorpresa la Sony – fiutando la possibilità del grande successo – investì tantissimo su Johnny Mnemonic (la bellezza di ben 26 milioni di dollari). Il film fu oggetto di una grande campagna pubblicitaria, tanto che diventò uno dei primi prodotti cinematografici a generare anche un videogioco per console in ottica promozionale. Sempre per promuovere meglio la pellicola la Sony si inventò una caccia al tesoro online, cercando di coinvolgere il target degli utenti Internet (che in realtà, all’epoca, erano solo 40 milioni in tutto il globo contro i 4 miliardi di oggi). Nonostante tutte questi premesse, Johnny Mnemonic è passato alla storia per essere stato un clamoroso flop: dei 26 milioni di dollari investiti ne recuperò appena 19 e, come se non bastasse, fu stroncato dalla stragrande maggioranza dei critici dell’epoca (la stessa interpretazione di Reeves nel film gli è valsa una nomination al Golden Raspberry Award per il peggior attore dell’anno). Nell’idea della casa di produzione Johnny Mnemonic sarebbe dovuto diventare il primo capitolo di una serie di lungometraggi: invece fu velocemente archiviato come uno dei più sfortunati tentativi di portare alla ribalta mainstream la cultura cyberpunk.
I MOTIVI PER CUI LA PELLICOLA NON DIVENNE UN GRANDE SUCCESSO
Il problema, forse, è che il mondo che aveva in testa Gibson per Johnny Mnemonic è cambiato in fase di produzione e post-produzione, tanto che molti si sono chiesti per quale motivo la regia di una produzione così ambiziosa fu affidata ad un regista di videoclip, Robert Longo (che dopo quel debutto è sparito dalla circolazione). Dopo un buon equilibrio iniziale la narrazione diventa estenuante, con un susseguirsi di personaggi secondari (alcuni assolutamente grotteschi, come quello del reverendo) che incastrano la storia in sequenze identiche a se stesse che non valorizzano l’impianto visionario di Gibson ma, anzi, lo riducono ad una macchietta poco credibile. Su tante altre cose invece la pellicola funziona benissimo: Takeshi Kitano e Keanu Reeves sono in realtà molto bravi nel loro tormento esistenziale e le scene in cui fa capolino la realtà virtuale sono inserti davvero originali ed innovativi per quei tempi. Però alla fine sono suggestioni che rimangono isolate: infatti Johnny Mnemonic, più che diventare un film di successo, è servito ad ispirare altri immaginari cinematografici molto più riusciti come Matrix ma anche Cypher di Vincenzo Natali (senza considerare il Nirvana del nostro Gabriele Salvatores, che ha saccheggiato a piene mani l’immaginario neuromante di Gibson).
LA PREMONIZIONE DI JOHNNY MNEMONIC
A differenza dei titoli appena citati Johnny Mnemonic, in alcuni frangenti, ci ricorda casi di cronaca molto recenti, ad esempio quelli che hanno visto coinvolti negli Stai Uniti Chelsea Manning e Edward Snowden. Anche loro, proprio come Johnny, hanno avuto accesso ad informazioni preziose e, invece di tenerle nascoste, le hanno diffuse compiendo un atto politico sovversivo. Nei loro casi si trattavano di segreti di Stato, nel caso del protagonista del film di segreti aziendali ma il risultato non cambia affatto. Dopotutto stiamo parlando di una pellicola del 1995: le informazioni e i beni digitali erano ancora una merce libera nell’Internet degli albori, alla portata di tutti. Il lungometraggio affronta la tematica proiettandola in una distopia dove i dati diventano invece qualcosa di esclusivo e inaccessibile per la popolazione mondiale: a guardare bene, non siamo molto lontani dai dibattiti odierni sui dati personali, sulla neutralità della rete e sull’accesso alle informazioni in mano alle multinazionali hi-tech.
Mentre la creatura di Longo e di Gibson sta per compiere il suo venticinquesimo anniversario, in queste settimane si sta iniziando a parlare di Gaia-X, un cloud europeo che protegge i dati dei cittadini dalle aziende americane e cinesi. “I dati diventeranno la materia prima più importante del futuro” ha commentato l’altro giorno il Ministro dell’Economia tedesco Peter Altmaier. Quindi, al netto dei corrieri della memoria, il mondo raccontato da Johnny Mnemonic non è poi così superato come sembra: il futuro che rappresenta riesce ancora a dirci qualcosa, meglio di tante altre opere cyberpunk di quel periodo.