Between Two Ferns: The Movie, film di Scott Aukerman da poco disponibile come originale Netflix (da guardare rigorosamente in lingua originale), è uno spin-off dell’omonima web serie cult di Funny Or Die e – come per l’originale – vede l’attore comico Zach Galifianakis, già star della trilogia di Un Notte da Leoni, protagonista nel ruolo di una versione alternativa di se stesso.
BETWEEN TWO FERNS: UN’INCREDIBILE SFILZA DI CAMEO PER IL DEMENZIALE TALK SHOW DI ZACH GALIFIANAKIS
Il concept del talk show comico da cui è tratto il film è semplice: Galifianakis, nei panni di un conduttore ‘scomodo’, intervista personaggi dello spettacolo che interpretano loro stessi, ponendo ‘domande’ a dir poco offensive e sentenziando in un modo che per buon senso e consuetudine sarebbe improponibile. Tutto ciò accade in un piccolo studio, tra esilaranti silenzi imbarazzati, in cui a fare da contorno ai surreali faccia a faccia sono due irremovibili felci [ing. Ferns].
Anche nel lungometraggio Netflix non mancano gli ospiti illustri, e se nella serie originale il protagonista era arrivato a intervistare Barack Obama, qui ad alternarsi sulla poltrona dell’ospite del giorno (e non solo) troviamo un’impressionante serie di celebrità più o meno grandi, che contribuisce non poco a rendere interessante il progetto: Matthew McConaughey, Benedict Cumberbatch, David Letterman, Keanu Reeves e Brie Larson, ma anche Will Ferrell, Peter Dinklage, Gal Gadot, Bruce Willis, Jon Hamm, Jason Schwartzman, Hailee Steinfeld, Rashida Jones, John Legend, Paul Rudd, Adam Scott, Tessa Thompson e Awkwafina. È in antitesi a loro che l’immaginario Galifianakis della finzione, convinto delle sue discutibili doti da conduttore, mette in moto un processo di comicizzazione involontaria della sua persona; tale da portare Will Ferrell – qui in veste di dirigente di Comedy Central – a proporgli un prime time tutto suo in cambio di dieci episodi di Between Two Ferns girati on the road.
IL “GREATEST SHOWMAN” E LO SPETTRO DEL SOGNO AMERICANO
Per quanto il soggetto, la sceneggiatura e gli attori possano far presagire un film esilarante (promessa a tratti mantenuta), di fatto si è di fronte non solo a una sfilza di gag demenziali ma anche a una riflessione tragicomica in cui il vero protagonista è il sogno americano e il suo declino. Nel percorso su strada intrapreso da Galifianakis e dalla sua sottomessa crew, prende infatti forma l’ideale del “grande conduttore”, facente parte del vasto spettro dell’American dream secondo cui tutto è migliorabile, tutto è possibile.
C’è però il rischio di una degenerazione: volontà di affermazione e caparbietà, se accompagnate a uno scarso senso di sé, implicano ridicolizzazione. Se declinato in questi termini, allora, il sogno del grande showman non è perseguibile da tutti, facendo diventare quell’ideale regolativo uno “spettro” che lentamente impallidisce e scompare. Ma il mondo dello spettacolo può fare di tutto, anche il meno capace può diventare qualcuno, piegando la propria personalità alle esigenze della finzione.
NEL FILM NETFLIX UN CONFRONTO TRA L’UOMO E L’OPERA, IL REALE E LA FINZIONE
Le sequenze del film disvelano la scissione fra il mondo reale e il mondo fittizio, fra il mondo dell’uomo e il mondo dell’opera, Tuttavia – essendo il film imperniato sulla web serie di Galifianakis – si palesa l’intento meta-filmico in cui un mondo tende a contaminare l’altro, tanto che non si comprende se i modi sgarbati del conduttore siano mutuati dalla persona reale o viceversa. Così, si assottiglia il confine fra lo spazio televisivo e lo spazio reale, mentre il protagonista diviene stranger than fiction (per citare il titolo del film di Forster del 2006).
Proprio su questa linea di confine risalta l’immagine di un personaggio tronfio ma goffo, superbo ma paranoico, nonché fissato e tendenzialmente sessista. Galifianakis, vestendo la sua giacca, finge di essere ciò che non è, costruendo un’apparenza e una forma ingannevole che non si conciliano con il contenuto del buon conduttore (le gag costruite sull’errata pronuncia e grafia dei nomi degli ospiti sono delle piccole perle).
Questo Galifianakis non ha infatti alcuna dote per porsi come presentatore, è l’unico titolo di merito diventa la vendita della sua immagine di inetto, così vertiginosamente fastidiosa da diventare paradossalmente divertente. Quando poi riesce nell’intento e conquista il suo personale spazio in prima serata, la sceneggiatura del film restituisce un finale dall’intento didascalico che rasenta un moralismo esplicito, già visto e sentito ma necessario: rinunciare alla gloria, per perseguire valori più genuini, fatti di persone e di relazioni vere, significative.
Galifianakis – con il suo temperamento burbero – è posto davanti all’angoscioso bivio della scelta, muovendosi su un periglioso crinale dai toni amletici, in cui la decisione finale si focalizza sull’essere anziché sull’apparire.