Maleficent – Signora del male, uscito nelle sale italiane il 17 Ottobre, è il sequel di quel Maleficent prodotto e distribuito nel 2014 da Walt Disney. Nel film ritroviamo una bellissima quanto granitica Angelina Jolie, affiancata da Ellen Fanning, Michelle Pfeiffer e Sam Riley; mentre dietro la macchina da presa c’è il norvegese Joachim Rønning – che nel 2017 aveva già co-diretto per la Disney Pirati dei Caraibi – La Vendetta Di Salazar.
MALEFICENT 2: C’ERA TRE VOLTE… UNA FATA CHE RI-DIVENNE CATTIVA.
Il film di Rønning racconta la storia di un distacco, quello di Maleficent dalla sua amata Aurora, restituendo il nucleo problematico del rapporto madre-figlia. Maleficent – sulla base del proprio tragico vissuto amoroso – è indisposta a concedere in moglie Aurora (Ellen Fanning) al principe Filippo (Harris Dickinson). A fare da leva su questo morboso attaccamento è la regina di Ulstead, Ingrid (Michelle Pfeiffer) – madre di Filippo – pronta a scatenare una guerra fra le creature del bosco (Brughiera) e il suo regno. Per mettere in moto il conflitto, la regina sobilla l’oscuro passato di Maleficent che, a quanto pare, ancora non è stato pienamente processato dalla protagonista, adesso trascinata in un viaggio alla ricerca delle proprie origini.
UN SEQUEL CHE TRADISCE L’ORIGINALITÀ DEL FILM PRECEDENTE, SNATURANDONE IL SENSO.
Esistono film che servono, film che non servono e altri film che sarebbe opportuno evitare. In quest’ultima categoria rientra Maleficent 2 – Signora del male. Discreta la fotografia, ammirabile la cura dei costumi, bellissima Angelina Jolie, ma non basta a fronte di un soggetto e di una sceneggiatura che costituiscono una regressione.
Il film del 2014, al quale corre irrimediabile il riferimento, aveva condotto un’operazione interessante focalizzando l’attenzione su quella fascinosa figura che è il personaggio di Maleficent. Uno spin-off quasi necessario, dato che già nell’originale del ’59 (La bella addormentata nel bosco), l’eleganza e il fascino di un personaggio bidimensionale rubavano la scena alla giovane Aurora e al contorno fiabesco dei “buoni”. Tale meccanismo, però, si era già verificato con il film del 2014 conferendo notevole originalità alla trama del classico degli anni ’50. Forse non era così necessario scavare ulteriormente.
C’È UN NUOVO CATTIVO IN CITTÀ. IL RITORNO ALLA FIABA E LA NECESSITÀ DELL’ANTAGONISTA.
In linea con la de-mitizzazione disneyana della dicotomia fiabesca bene-male, Maleficent nel suo sarcasmo, nella perfezione dei suoi lineamenti ma anche nella sua cura per Aurora, incarna lo spirito del “reale” mantenendo un’oscillazione insuperabile fra il bene e il male. E tale rimarrà, sino al finale, vestendo un ultimo meraviglioso costume che sfuma dal nero al bianco e che costituisce una cifra simbolica sullo status della protagonista, ora più umana che fata e collocatasi nello spazio “di mezzo”, grigio e non polarizzato, tipico dell’umano.
Paradossalmente, questa nuova linea disneyana – che come principio assume il reale anziché il fiabesco – scade con il film di Rønning. Nobilissimo il suo intento, utile ad analizzare le “origini del male”, ma accade che la regina Ingrid diventi banalmente la cattiva, sostituendo la funzione della Maleficent del ’59 però priva di quella consistenza e di quello charme.
In una delle scene finali – durante il conflitto fra il regno “fatato” e quello umano – di fronte al massacro messo in atto dalla regina, Maleficent ritorna in un atteggiamento distruttivo, configurandosi come un male necessario a ristrutturare gli equilibri. Male necessario è anche la regina Ingrid, seppure questo non venga espresso con chiarezza, lasciando nel film una sorta di vuoto concettuale che non ne snoda il significato o, al più, lo banalizza restituendo la vecchia logica eroe-antieroe. Unica innovazione è l’ipotetica inversione(neanche poi così chiara) dei ruoli tra Ingrid e Maleficent, in un conflitto portato all’esasperazione in quanto avviene fra due figure femminili.
Una cosa è certa: c’è sempre bisogno di un “cattivo” per mandare avanti la storia. Il film del 2014 aveva puntato a individuare questo antagonista all’interno del personaggio stesso, ricostruendone i conflitti e incanalandoli in una narrazione di senso. Il film di Rønning purtroppo non riesce a farlo, perché – parafrasando la voce narrante all’inizio del film – Maleficent è “ridiventata cattiva”, in quanto la sua storia è stata dimenticata.
In realtà, questa si era semplicemente già conclusa e la Maleficent del 2014 aveva espiato le sue colpe, compiuto il suo percorso evolutivo cinque anni cinematografici fa, e lì sarebbe stato necessario lasciarla, conservarla, consegnando il personaggio alla leggenda tramite il ricordo. Questo atto di memoria nei confronti di Maleficent sarebbe stato l’omaggio nei riguardi di un buon personaggio. In fondo sempre la Disney – si pensi a Coco della Pixar – ha insegnato al suo pubblico che un atto di memoria è un atto d’amore. E Maleficent non si può non amarla di un amore conflittuale, per la sua elegante e dannata presenza da femme fatale.