Il 29 settembre 2013 rappresenta un capitolo importante nella storia della televisione moderna: andava in onda sul canale americano via cavo AMC l’episodio finale di Breaking Bad, una delle serie più amate di tutti i tempi. Già in quel periodo, a seguito del successo mondiale ottenuto dal capolavoro di Vince Gilligan, si cominciò a parlare della possibilità di proseguire il racconto dell’universo narrativo di Breaking Bad con la proposta-choc da parte di Jeffrey Katzenberg (ex CEO di DreamWorks e fondatore del servizio streaming Quibi) di produrre tre episodi aggiuntivi con un investimento di 75 milioni di dollari ma Gilligan e il suo team di autori rifiutarono l’allettante offerta perché, per come era stata concepita, la creatura dello showrunner statunitense non aveva bisogno di ulteriore materiale. Un anno e mezzo dopo il series finale però, l’8 febbraio 2015, fece il suo debutto lo spin-off del prodotto AMC, quel Better Call Saul che è riuscito a conquistare il pubblico quasi quanto la serie madre; oltre alla storyline principale, il prequel con protagonista Saul Goodman, nel corso delle sue quattro stagioni, ha mostrato alcune scene ambientate dopo gli eventi di Breaking Bad aprendo lo scenario a nuovi sviluppi.
Infine, nel novembre 2018, The Hollywood Reporter ha riacceso gli entusiasmi dei fan di tutto il mondo riportando l’esistenza di un progetto che avrebbe dato vita ad un lungometraggio legato al franchise di Breaking Bad scritto, prodotto e diretto da Vince Gilligan. Con una fase produttiva contrassegnata da misure di segretezza molto rigide (lo spiega in un’intervista l’attore Matt Jones), El Camino è diventato realtà: il film, disponibile in Italia su Netflix, racconta la storia di Jesse Pinkman (l’iconico personaggio interpretato da Aaron Paul) dopo il finale dello show due volte premio Emmy come Miglior Serie Drammatica.
LA FUGA DI JESSE PINKMAN TRA FLASHBACK E VOGLIA DI RIVINCITA
Jesse (Aaron Paul), dopo le rocambolesche peripezie dell’ultima puntata di Breaking Bad, è finalmente un uomo libero. El Camino mette in scena la latitanza di Pinkman: la fuga però ha i contorni di una vera e propria odissea. Tra flashback, ostacoli all’apparenza insormontabili e voglia di rivincita, il nostro amato Jesse si batte con forza per realizzare il suo più grande desiderio, raggiungere il luogo in grado di dargli la possibilità di ricominciare una nuova vita.
UN’OPERAZIONE NOSTALGIA CHE NON ALTERA LA STORYLINE DI BREAKING BAD
Nonostante la spasmodica attesa, non pochi hanno accolto con scetticismo l’uscita di El Camino: lo splendido finale di Breaking Bad, a distanza di sei anni, è ancora vivo nella mente degli spettatori e il rischio di rovinare il ricordo di uno degli show televisivi più importanti degli ultimi vent’anni era alto; il nome di Vince Gilligan in cabina di regia però era sinonimo di garanzia, una fiducia guadagnata sul campo anche grazie allo straordinario lavoro fatto con Peter Gould per Better Call Saul.
Sicuramente il pericolo maggiore è stato scongiurato: El Camino non altera in alcun modo la storyline di Breaking Bad; il film infatti, più che un seguito, è in realtà un’operazione nostalgia che ha un impatto narrativo quasi ininfluente (lo stesso showrunner ha ammesso che si tratta di un’opera non necessaria). Se prendiamo in considerazione la pellicola in sé, il primo lungometraggio del franchise AMC è formalmente ineccepibile: Gilligan padroneggia la macchina da presa con maturità confezionando un buon noir moderno dal ritmo compassato. Lo sceneggiatore punta a giocare sull’emotività dello spettatore, facendo leva non solo sui cameo distribuiti nei numerosi flashback (tra cui quello più atteso, il ritorno di Bryan Cranston nel ruolo di Walter White) ma soprattutto sul dramma umano vissuto da Pinkman. Apriamo una parentesi sul protagonista, Aaron Paul: il legame che l’attore ha con il personaggio di Jesse è talmente forte che la sua interpretazione è il vero valore aggiunto di El Camino.
I PROBLEMI DI EL CAMINO E IL FUTURO DEL FRANCHISE DI VINCE GILLIGAN
Eppure, dopo la visione del film, è difficile scrollarsi di dosso una strana sensazione di incompiutezza, quasi come si trattasse di un’occasione mancata. La questione spinosa è abbastanza semplice: la scrittura, storico punto di forza di Breaking Bad, è il tallone d’Achille di El Camino. Uno dei problemi principali dello script di Vince Gilligan sta nell’evoluzione di Jesse: nonostante il lungometraggio approfondisca la psicologia di due personaggi secondari dello show, Todd (Jesse Plemons) e l’ambiguo Ed Galbraith (interpretato dal compianto Robert Forster, artefice delle sequenze migliori della pellicola), lo sviluppo del protagonista appare repentino e forzato (probabilmente penalizzato dal minutaggio limitato). Jesse Pinkman era la personalità più fragile della serie madre, succube del carisma di Walter White, ma proprio per questo il pubblico lo ha amato perché rappresentava il personaggio più umano della creatura di Gilligan; la svolta badass della seconda parte di pellicola, seppur parzialmente giustificata dagli eventi, è una nota stonata che, tra le altre cose, non porta ad un effettivo passo in avanti della narrazione (il lungometraggio finisce tornando, nella sostanza, al suo punto di partenza).
Altro tema da valutare riguarda la mancanza quasi assoluta di tensione drammatica in El Camino, scelta consapevole dello showrunner rivelatasi però un’arma a doppio taglio. Breaking Bad è diventata una serie cult perché, di anno in anno, è riuscita ad alzare l’asticella in termini di colpi di scena e pathos, concludendo il suo cammino con un’ultima stagione senza eguali nella storia della TV; tornare dopo sei anni con un film dallo stile più sobrio e discreto, che certamente rispecchia di più Jesse Pinkman (diversissimo dal megalomane Walter White), è stata una mossa quasi azzardata perché alla pellicola manca quella vivacità necessaria a mantenere alta l’attenzione (i flashback, da questo punto di vista, non hanno aiutato, dato che hanno ulteriormente spezzato il ritmo di El Camino).
Scongiurata la possibilità di una serie sequel dopo El Camino dallo stesso Aaron Paul, non è ancora ben chiaro se il lungometraggio Netflix avrà qualche collegamento con Better Call Saul (qualche speculazione comincia a circolare) ma, al netto della dubbia necessità del film e dei finali alternativi valutati dallo showrunner, bisogna prendere il lavoro di Vince Gilligan per quello che è: un’operazione di fan service, nonché l’omaggio di un autore ad un personaggio straordinario che meritava il suo one man show. Nulla di più.