Nell’ultima scena di Fulci for Fake, proposto fuori concorso al ToHorror Film Fest, intravediamo Lucio Fulci in una vecchia ripresa su uno dei suoi ultimi set e abbiamo quasi la sensazione di aver visto un fantasma. Nemmeno alla fine del film, dopo un’ora e mezzo di biopic, riusciamo a capire chi sia stato davvero Fulci: il regista delle spensierate commedie degli anni ‘50 con Totò o quello di Zombi 2 che gli valse la reputazione di “terrorista dei generi e poeta del macabro”? Il padre di famiglia affettuoso ed affezionato o il sadico torturatore un po’ misogino di personaggi femminili dei suoi film? L’autore di culto amatissimo all’estero che ha influenzato registi come Tarantino, De Palma e Sam Raimi o quello praticamente dimenticato ed isolato dall’industria del cinema italiano negli ultimi suoi anni di vita? Impossibile saperlo.
Fulci for Fake: l’indagine di Fulci dentro Fulci
Eppure il film di Simone Scafidi (già autore di Zanetti Story), presentato all’ultima Biennale di Venezia nella sezione “Classici Documentari” e che uscirà nelle sale il 31 ottobre prossimo, inizia proprio con la sfida di capire chi fosse davvero Lucio Fulci e lo fa utilizzano un pretesto narrativo: racconta la vicenda di un attore (interpretato da Nicola Nocella, Nastro d’argento come migliore attore esordiente per Il figlio più piccolo di Pupi Avati) reclutato da un fantomatico regista (“Saigon”) per interpretare Fulci in un biopic sul regista. Per immedesimarsi meglio, Nocella incontra una serie di personaggi che hanno accompagnato e incrociato la vita privata e professionale dell’autore romano: le figlie Antonella e Camilla (venuta a mancare poco dopo le riprese di Scafidi), i registi Enrico Vanzina e Michele Soavi, l’attore ed amico Paolo Malco, il direttore della fotografia Sergio Salvati, il compositore Fabio Frizzi, il biografo Michele Romagnoli e il fondatore di Nocturno Davide Pulici. E’ da questi incontri e da dialoghi che Scafidi prova a indagare nelle vicende del Fulci regista e del Fulci uomo, alternando alle interviste immagini di repertorio, fotografie dai set, preziosi ed inediti filmati di famiglia.
Lucio Fulci in tutte le sue contraddizioni e sfumature
Già per la sua struttura narrativa in cui ibrida fiction e documentario, Fulci for Fake svela fin dall’inizio la sua natura dissimulatoria. In un gioco di specchi tra realtà e finzione, mette in fila indizi che si inseguono e si contraddicono, passa da ricordi tragici (il suicidio della prima moglie, l’incidente a cavallo di sua figlia Camilla che la costrinse sulla sedia a rotelle, gli infarti e i problemi di salute personali) a ricordi più grotteschi e divertenti delle sue vicende professionali con amici e colleghi. A ben vedere lo stesso titolo dell’opera di Scafidi, che è un omaggio a Orson Welles, è un rimando al falso e al simulato, ad un depistaggio che il regista dirige in modo intelligente un po’ come Scorsese fa con il suo ultimo documentario su Bob Dylan (Rolling Thunder Revue). Fulci ne esce come un artista in continua fuga da ogni ossificazione, riflesso non solo della sua filmografia che ha attraversato praticamente tutti i generi possibili (commedia romantica e sexy, thriller, western, horror, gialli) ma anche della sua vita privata divisa tra drammi familiari e vicende caustiche e beffarde. Una figura tragicomica, ambivalente, impossibile da mettere a fuoco senza rileggerla alle luce dei suoi film.
Il cinema come ‘sintomo psicosomatico’
Ed ecco allora che biografia e filmografia diventano quasi inevitabilmente una sorta di unicum narrativo e solo in quel caso, in alcune pieghe delle sue pellicole, scoviamo dei frammenti per la prima volta sinceri ed autentici, restituiti come trasfigurazioni degli episodi più tragici della sua vita. L’odio per le donne (e in parte per i bambini), la ferocia di alcune scene splatter sui corpi martoriati dei suoi personaggi, l’ossessione per la colpa, la morte e per “l’aldilà”: sono sfoghi in pellicola di un malessere mai esternato davvero nella propria vita, come se il cinema di Fulci non fosse che un sintomo psicosomatico delle proprie disavventure esistenziali. Dunque è proprio il cinema come mestiere costituente di storie e di visioni ad essere la vera cartina tornasole dell’animo tormentato e rocambolesco di personaggi sfuggenti come Lucio Fulci, e poco importa se riusciamo ad afferarne l’identità artistica ed umana oppure no. Perché questa missione apparentemente senza successo di Scafidi diventa alla fine un grande omaggio alle atmosfere dei set dei suoi film: degli sgangherati quanto innovativi luoghi di un cinema inteso come lento e meticoloso lavoro artigianale in cui l’autore scolpisce immagini e paure con un perfezionismo tanto unico quanto irriconoscibile nella sua disordinata vita privata. Dopotutto “papà non si può capire, si può solo vivere” dice la figlia Antonella in una delle interviste fra le più rivelatorie.
Dunque Fulci for Fake, nella sua dimensione di anti-biopic e di non-racconto, emerge splendidamente come una profonda autopsia umana di Fulci operata con lo strumento affilato della sua cinematografia. E non si poteva rendere diversamente un autore in cui la vita e il cinema si sono fuse in una simbiosi tanto creativa quanto distruttiva, tanto beffarda quanto malinconica. Il Fulci uomo esiste solo attraverso il suo sguardo dentro la macchina da presa. Il resto sono fantasmi, menzogne, fake.