Guardando le pellicole presentate alla 14. edizione della Festa del Cinema di Roma, sia per quanto riguarda la selezione ufficiale che la sezione parallela di Alice Nella Città, sembra chiaro che quest’anno la kermesse cinematografica romana abbia dedicato un’attenzione particolare verso i temi sociali. L’Età Giovane, l’ultimo film scritto e diretto da Jean-Pierre e Luc Dardenne uscito nelle sale grazie a Bim Distribuzione, non fa eccezione. Il lungometraggio infatti porta sullo schermo il problema del fondamentalismo islamico (in particolare l’aspetto della radicalizzazione dei giovani), tematica a cui i registi si sono interessati dopo gli attentati terroristici che hanno colpito la Francia e il Belgio negli ultimi anni.
UN FONDAMENTALISTA ISLAMICO IN ERBA PROGETTA DI UCCIDERE LA SUA INSEGNANTE
Ahmed (Idir Ben Addi) è un ragazzino che va in giro con il Corano sempre nello zaino e non stringe la mano alla sua professoressa perché nel libro sacro è prescritto che ai veri musulmani non è consentito farlo: con questi pochissimi ma significativi dettagli, i registi belgi tracciano i contorni di un fondamentalista in erba. Nonostante ciò, Ahmed non è né nato né cresciuto in una famiglia praticante: la madre e la sorella non indossano il velo, mentre il fratello prega a tempo perso e passa le ore al campo di calcetto. Anche Ahmed era così, fin quando un imam fanatico della Jihad non lo ha cambiato completamente. Le parole e le convinzioni di questo suo padre spirituale penetrano tanto in profondità da spingere Ahmed a pianificare l’assassinio della sua professoressa, ritenuta apostata.
L’ETÀ GIOVANE È UN ATTO DI ACCUSA NEI CONFRONTI DELLE ISTITUZIONI
Più che il processo di radicalizzazione e il contesto socio-culturale del film, L’Età Giovane, presentato all’ultima edizione del Festival di Cannes, è intenzionato ad indagare il processo di recupero e rieducazione dal fondamentalismo, cercando di analizzare le varie strade che potrebbero essere percorse. Fin dall’inizio della pellicola il piccolo protagonista si mostra già ampiamente devoto al suo imam e ansioso di partecipare alla Jihad nonostante abbia tredici anni. Il focus non è dunque sul processo di avvicinamento che potrebbe portare un adolescente in cerca di identità ad abbracciare il radicalismo bensì sul lungo cammino che potrebbe portarlo ad uscire dal tunnel. Le conclusioni a cui arrivano i Dardenne, tuttavia, sono tanto realistiche quanto terribili: in presenza di un livello di fanatismo così alto, accentuato dalla giovane età del ragazzo, tutte le istituzioni di recupero falliscono. In primis fallisce la famiglia, ma anche la scuola, la giustizia e i servizi sociali: perché Ahmed si redima non sono sufficienti la madre in lacrime, l’amore dirompente di una ragazzina e neanche l’istituto di rieducazione; solo un evento estremo lo portano a rivedere le sue convinzioni, sebbene lo spettatore non abbia alcuna certezza che il giovane le abbia abbandonate definitivamente. Tra le righe, accanto alla volontà evidente di raccontare il fondamentalismo giovanile, si legge anche una velata denuncia verso l’impotenza delle istituzioni, incapaci di combattere e contrastare questo fenomeno.
Oltre ad inquadrare il problema della radicalizzazione in maniera innovativa, L’Età Giovane si prende anche la responsabilità di riportare l’attenzione dell’opinione pubblica su un tema ancora attuale che sembra avere ultimamente uno spazio meno rilevante a livello mediatico.