“Siamo tutti nel fango, ma alcuni di noi guardano le stelle” scriveva Oscar Wilde. Con lo stesso sguardo rivolto verso l’alto ma con i piedi ben piantati sulla terra, Star Stuff – documentario presentato al Torino Film Festival nella sezione Festa Mobile – solleva riflessioni esistenziali attraverso il racconto di chi il cosmo, per mestiere, lo osserva quotidianamente.
Tre osservatori sparsi per il globo
Ci sono infatti tre osservatori astronomici sparsi per il globo terrestre – Cile, Canarie e Sudafrica – al centro della narrazione del documentario di Milad Tangshir, giovane regista iraniano di stanza a Torino e che con Star Stuff è al suo esordio nel lungometraggio. Accanto a questi centri di osservazione dell’universo ci sono però anche le comunità locali vicine, persone con le loro particolarità di vita, con le loro storie da raccontare e con il loro pezzo di cielo da guardare. Ecco, tra cielo e terra, il documentario di Tangshir prova allora a connettere l’universale con l’intimo, l’infinito con il circoscritto, il sogno con la realtà, in un equilibrio sensibile e sofisticato che prova a proiettarsi alla ricerca dell’essenza umana.
La materia degli astri e quella degli uomini
Prodotto dalla Rossofuoco di Davide Ferrario e Francesca Bocca con il coinvolgimento di una troupe itinerante e diverse operatività internazionali, Star Stuff ha una gradevolissima forza ipnotica grazie alle potentissime immagini paesaggistiche e cosmiche (impressionate anche attraverso l’utilizzo sapiente e mai esagerato del timelapse) e ci presenta un trattamento del materiale umano molto interessante, sopratutto nel suo contrasto con l’immensità della galassia. In questo crocevia azzeccato e sognante la didattica del cosmo, spiegata dagli scienziati degli osservatori, fa da contrappunto ai racconti e alle riflessioni delle civiltà locali che vivono ai margini del mondo: dai contadini del deserto cileno a quelli dell’isola de La Palma, passando per i villaggi poveri del Sudafrica. Le metriche degli astri e della scienza finiscono per diventare angolazioni nuove per guardare e affrontare i problemi culturali e sociali dell’animale uomo. Dopotutto come ci suggerisce uno scienziato, “siamo fatti della stessa materia delle stelle”.
Prospettive cosmiche per guardare al pianeta
La tesi di Tangshir è che abbiamo bisogno di una prospettiva cosmica per guardare in modo diverso al nostro pianeta. La consapevolezza di quanto siamo infinitesimi, la totale inutilità delle lotte intestine nella civiltà umana, il senso di ciclicità e la fine inevitabile del nostro pianeta rispetto all’espandersi costante dell’universo: sono suggestioni che toccano temi materiali e quotidiani, di immanenza “politica” (non a caso si parla anche di cambiamenti climatici o apartheid). Si cita anche Carl Sagan, forse il più grande divulgatore scientifico della storia: “la Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica. Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria ed il trionfo, potessero diventare i signori momentanei di una frazione di un punto”. Ecco allora che i dogmi, i pregiudizi, le ideologie diventano elementi pleonastici e marginali di fronte alla grandezza del cosmo, alla sua arbitrarietà sopra ogni personalismo – che sia individuale o collettivo delle masse organizzate – e di fatto ci investe di un’altra responsabilità, ci consegna una visione di cosa siamo e cosa siamo destinati a diventare.
Dopotutto, sempre uno scienziato lo evidenzia, quando guardiamo le stelle non vediamo un’immagine presente ma la sua proiezione di luce dal passato. Imparare dalla storia per capire il nostro tempo e magari valorizzare le nostre radici per affrontare il futuro sono altre lezioni trasmesse dalla prospettiva cosmica di Star Stuff. Nell’epoca in cui abbiamo perso i lumi, questo film prova a suggerire un modo tanto semplice quanto rivoluzionario per recuperarli e farli nostri: dobbiamo solo alzare gli occhi al cielo durante una notte stellata.