Quello dell’invasione aliena è un tropo in cui ci siamo imbattuti innumerevoli volte nella storia del cinema di fantascienza, che incredibilmente può ancora regalare pagine tanto sorprendenti da sembrare quasi miracolose (si pensi ad Arrival) ma che il più delle volte è semplicemente schiavo del cliché. Pur non collocandosi neanche lontanamente sullo stesso piano del capolavoro di Villeneuve, Captive State di Rupert Wyatt (L’Alba del Pianeta delle Scimmie) riesce nel difficile compito di proporre qualcosa di originale, sfilandosi dalla gabbia della convenzione e trovando un approccio fresco al consunto paradigma della alien invasion.
Nel film, disponibile in DVD e Blu-ray CG-Adler (anche in una bella edizione speciale con copertina lenticolare) e pure in acquisto o noleggio digitale sulla piattaforma CG Digital, l’invasione della Terra da parte di extraterrestri non è il vero focus della storia ma piuttosto un punto di partenza, giacché dopo un prologo ambientato dieci anni prima degli eventi principali ci troviamo in un mondo in cui ormai la presenza dell’invasore spaziale è istituzionalizzata, tanto che gli alieni hanno preso il controllo del potere legislativo e hanno instaurato un regime che per gli essere umani è addirittura più sicuro e in un certo senso conveniente rispetto alle tradizionali democrazie terrestri.
Ovviamente la presenza di un invasore troverà sempre forme di resistenza e quindi – aspetto interessantissimo di Captive State – mentre buona parte degli umani accetterà suo malgrado il nuovo equilibrio esistenziale (e le limitazioni di libertà che comporta), arrivando addirittura a difenderlo in modo operoso e determinato, altri organizzeranno forme di ribellione segrete, in attesa di mettere in ginocchio il nemico extraterrestre.
È proprio su questa divisione che si regge il cuore della trama del film, la cui produzione travagliata ha lasciato il segno nella forma di un montaggio e una sceneggiatura spesso poco fluidi e confusi, ma che riesce comunque a colpire per la grande idea che soggiace agli oggettivi problemi realizzativi. Più che somigliare a un film di fantascienza, per buona parte del suo svolgimento Captive State ha quasi il sapore di un 1984 di Orwelliana memoria. Chi si aspettasse un trionfo di azione ed effetti speciali infatti resterà infatti deluso, giacché il lungometraggio non si regge sull’intrattenimento puro ma sulle interazioni tra personaggi, pur mantenendo una dimensione di scala miracolosa per il budget di soli 25 milioni di dollari a disposizione di Wyatt. In tal senso si rivela indispensabile la grande solidità degli interpreti principali, che suppliscono con esperienza a delle interazioni che non sempre si basano su un copione ben oliato: l’iconico John Goodman, il bravo Ashton Sanders (Moonlight) e la candidata all’Oscar Vera Farmiga sono infatti tra le note più felici dell’opera.