Netflix ha dimostrato a più riprese di voler puntare su progetti audaci, ma quando parliamo di Sion Sono è difficile trovare le parole giuste o quantomeno una definizione corretta che possa avvicinarsi allo stato dell’arte. L’ultimo film del cineasta giapponese è The Forest of Love e possiamo affermare senza grossi dubbi che rappresenti la summa della sua poetica anticonvenzionale: il 58enne ha avuto carta bianca per la realizzazione del lungometraggio ed ha sfogato il suo estro senza compromessi, mettendo nel mirino la società nipponica e le sue mille contraddizioni. Il film è ispirato a una storia vera – una serie di omicidi in Giappone risalenti al 2002 – e Sono decide di fornire il suo punto di vista raccontando la storia di un truffatore e di una squadra di aspiranti registi che entrano a forza nella vita di due ragazze segnate dal dolore. Shin è un vagabondo solitario che gira Tokyo insieme alla sua fedele chitarra, ma un giorno incontra Jay e Fukami, due cineasti in erba: i tre decidono di girare un film insieme e coinvolgono Taeko, giovane sgualdrina. Quest’ultima decide di rivolgersi all’ex compagna di classe Mitsuko, blindata in casa da anni per la tragica morte di una ex compagna di scuola di cui era innamorata. A sparigliare le carte in tavola è Murata Joe, un truffatore tuttofare che entra nella vita di Mitsuko ma che ha già avuto a che fare con Taeko. E c’è di più: c’è un serial killer che miete vittime nella stessa zona in cui la neonata troupe gira il film…
THE FOREST OF LOVE, IL RITORNO DEL VERO SION SONO
Dopo alcuni film non particolarmente riusciti – ad eccezione di Antiporno – Sion Sono è tornato: The Forest of Love è provocatorio, violento, brutale, bizzarro e goffo. Fa ridere e spaventa. Il regista giapponese tratta i principali argomenti che hanno fatto parte del suo cinema in passato: la manipolazione, la depressione, l’abuso psicologico, il sesso, l’ambiguità e la componente artistica. Suddiviso in capitoli come Love Exposure, il film dedica la prima parte alla presentazione dei personaggi: dai nerd appassionati di cinema alle due giovani dalla vita devastata, fino a Joe Murata, il millantatore per eccellenza. Quest’ultimo, interpretato da uno straordinario Kippei Shiina, è sicuramente l’elemento più interessante da analizzare, faro di quella componente bislacca del cinema di Sono: è un cantante, agente della CIA, regista, produttore, laureato ad Harvard e molto altro.
In The Forest of Love il cineasta nipponico riesce a dosare (ed a non dosare) sapientemente i cambi di registro, riuscendo a colpire lo spettatore: nella stessa scena passiamo dal dramma alla comicità, dall’horror alla leggerezza. E c’è tanto eccesso voluto, altro asse portante del suo cinema: in alcune scene la bizzarria è talmente gratuita da sfociare nella degenerazione, giustificata però dalla costruzione e dalla psicologia dei personaggi. Uno dei punti di forza di questo film è infatti la sceneggiatura (firmata ovviamente da Sono), che mescola i tanti ingredienti a disposizione come uno chef stellato: presenti la componente gore e la componente onirica, che segnano i punti di svolta della pellicola e non vengono relegate ad un semplice riempitivo.
THE FOREST OF LOVE: IL VALORE DELLA SESSUALITA’ E IL METACINEMA
Un’altra importante componente di The Forest of Love è la sessualità, che viene rappresentata in tutte le sue sfumature attraverso i suoi protagonisti: la sessualità libertina di Shin, la verginità di Shin-Mitsuko e la sessualità come veicolo di plagio di Murata Joe. Un erotismo che diventa perversione per sfogare gli istinti propri dell’uomo, arrivando al sadomaso ed alla violenza. Un altro collegamento molto interessante è quello tra corpo e dolore: “Fatti una cicatrice e volta pagina”, dice Murata Joe rivolgendosi a Mitsuko. Il dolore per scacciare il dolore, con i ricordi che rappresentano le cicatrici della vita. Non ci sono grossi dubbi sul fatto che si tratti di un film che omaggia e parla di cinema: i tre giovani appassionati della settima arte ricordano i protagonisti di Why don’t you play in hell?, ma non solo. “Il cinema è tutto, il cinema e vita”, afferma uno dei cineasti in erba, ma la commistione diventa sempre più asfissiante con il trascorrere del racconto. La scena cult è profondamente metacinematografica, una guida su come sbarazzarsi dei cadaveri: il capo (che diventa regista) spiega passo per passo ai suoi due adepti (gli attori) come disfarsi di un corpo senza vita prima di dare il via alle operazioni (il ciak).
L'(AUTO)CITAZIONISMO DI SION SONO
The Forest of Love non è un film per tutti, ma ovviamente non in senso elitario: è il festival dell’eccesso targato Sion Sono e alcune situazioni potrebbe risultare indigeribile per chi non conoscesse il regista giapponese. I suoi fan, invece, hanno la possibilità di ammirare un’opera che appartiene profondamente e pienamente all’idea di cinema di Sono: il suicidio collettivo di Suicide Club, il disagio familiare di Noriko’s Dinner Table, la sessualità di Love Exposure e la violenza macabra di Cold Fish. I nomi dei protagonisti non li sentiamo per la prima volta: Mitsuko la ritroviamo dopo Cold Fish e Suicide Club, mentre Murata era il detective di Suicide Club; Kyoko, invece, l’assistente sottomessa di Antiporno.
Sion Sono firma un saggio di regia alternando in maniera frenetica riprese con camera a mano e riprese fisso, inquadrature mozzafiato dall’alto e primissimi piani. Non può mancare la sequenza delle attrazioni, con numeri musicali e subitanei che spaccano lo schermo e sono talmente grotteschi da divertire: uno su tutti lo spettacolo musicale di Murata Joe con tutte le sue ex fiamme in visibilio.