Fresca della recente notizia di aver intenzione di aprire uno studio locale nella nostra capitale, Netflix è pronta a lanciare sulla sua piattaforma Luna Nera, nuova serie fantasy totalmente italiana prodotta assieme al supporto di Fandango. Il racconto è basato sul primo romanzo de Le Città Perdute di Tiziana Triana (anche sceneggiatrice), ambientato nel XVII secolo e che vede al centro della narrazione una caccia alle streghe supportata dalla chiesa di Roma.
I due precedenti produttivi che vedono l’azienda statunitense lavorare in ambito seriale sul nostro territorio non si sono dimostrati esaltanti, con Suburra non all’altezza dell’omonimo cinematografico e Baby rivelatosi un racconto posticcio di stampo adolescenziale lacunoso e mal interpretato. Di Luna Nera abbiamo avuto modo di visionare i primi due episodi in attesa che l’intera stagione (composta da sei puntate totali) sbarchi in streaming il 31 gennaio, e a giudicare da questi ci sentiamo di dire che le cose non sembrano migliorare rispetto al passato.
LUNA NERA E IL GENERE FANTASY IN ITALIA
C’è da fare una doverosa premessa, tenendo conto che Luna Nera si pone come una produzione concettualmente originale all’interno di una certa costruzione audiovisiva. Il genere fantasy è notoriamente materia ostica da governare, nonché qualcosa nella quale in Italia abbiamo spesso difettato in quanto a creatività e spinta propositiva. È vero anche che questo mettere le mani avanti non si pone minimamente a giustificazione di quello che sembra andarsi a configurare come un sostanziale fallimento (sì, ve lo anticipiamo), ma indubbiamente va a riconoscere una certa tipologia di coraggio nel cimentarsi pionieristicamente in un terreno perlopiù inesplorato.
La mancanza di interesse del nostro panorama produttivo verso racconti di stampo fantasy è infatti quasi paradossale: i precedenti di un certo livello sono pochissimi e se Il Racconto dei Racconti è un caso più unico che raro, Il Primo Re, pur non rientrando nel genere, ne recupera certe atmosfere. Certo, nella serialità televisiva c’è il precedente ineludibile di Fantaghirò di Lamberto Bava (siamo negli anni ’90), ma lì la storia manteneva caratteristiche più favolistiche e si rivolgeva prevalentemente a un pubblico giovanissimo. Eppure la ruralità della provincia italiana e i nostri piccoli borghi diroccati, insieme a luoghi naturali mozzafiato, sarebbero perfetto oggetto di quella valorizzazione che all’estero (in particolare nelle terre anglosassoni) ha fatto la fortuna di molte produzioni fantastiche.
Vogliamo partire da questo discorso perché è qui che Luna Nera trova probabilmente il suo più grande pregio, dal quale si può trarre prezioso spunto per alimentare future opportunità creative. La serie (per quel che abbiamo avuto modo di vedere) sfrutta meglio di quanto si potesse immaginare questa fisiologia del panorama italico e costruisce un contesto scenografico credibile e piuttosto immersivo, supportato anche dal lavoro di ricostruzione artigianale operato dagli artigiani di Cinecittà (a proposito dell’ufficio nella capitale…).
È senza ombra di dubbio il comparto tecnico quindi quello che esce meglio da questi due episodi, e oltre all’ambientazione – che nell’economia generale funziona – è anche il reparto costumi a funzionare discretamente, proponendo abiti essenziali che sembrano però più vissuti delle corazze lucidate a specchio e del cuoio intonso visti nella ben più blasonata The Witcher.
I PROBLEMI DI LUNA NERA, NON TUTTI GIUSTIFICABILI COL PIONIERISMO DEL PROGETTO
Luna Nera soffre di ben altri problemi che si palesano sin dai primi istanti, i quali ci catapultano in una narrazione in medias res che in realtà ha come unica conseguenza quella di risultare respingente, talmente viene saltata la costruzione di coordinate in grado di fornire contesto e inclusività allo spettatore. Una sensazione di confusione che si ha anche all’inizio del secondo episodio ma che si reitera, in realtà, nel corso del racconto di entrambe le puntate, dove i nessi causa-effetto vengono spesso omessi del tutto con un annacquamento del discorso oltremodo debilitante.
Le difficoltà della sceneggiatura, a cura di Francesca Manieri, Laura Paolucci e Vanessa Picciarelli con l’ausilio della stessa Triana, evidenziano per il momento macroscopiche lacune nel fornire sostegno all’ossatura dei personaggi e dei loro rapporti, che appaiono fatti e sfatti in quattro e quattr’otto senza curarsi di fornire le adeguate misure di comprensione. Ad appesantire il racconto (quasi interamente al femminile) c’è poi una recitazione eccessivamente sovraccarica e straniante per quel che riguarda i personaggi principali, tra i cui interpreti troviamo i giovani Antonia Fotaras e Giorgio Belli. Le cose migliorano leggermente quando ci si sposta sui comprimari, meglio caratterizzati a partire dalla fisicità e dall’elaborazione visiva legata all’immaginario che li comprende e nel quale si muovono.
È presto per poter dare un giudizio definitivo su Luna Nera, i cui episodi sono diretti da tre registe come Francesca Comencini, Susanna Nicchiarelli e Paola Randi. Certo è che quanto è stato offerto in anteprima non può che sollevare corposi dubbi sulla capacità della serie di far presa sul pubblico (anche estero?) e convincerlo ad investire il suo tempo in una visione non solo frutto di curiosità ma anche di interesse. Luna Nera sarà disponibile globalmente in streaming su Netflix a partire dal 31 gennaio.