ATTENZIONE: IL SEGUENTE APPROFONDIMENTO CONTIENE OVVIAMENTE SPOILER CHE RIVELANO INTERAMENTE IL FINALE DEL FILM.
The Nest (Il Nido), ottimo horror drama dell’esordiente Roberto De Feo presentato a Locarno e al Sitges e prossimamente oggetto di un remake in lingua inglese, è ora disponibile in edizione DVD, Blu-ray e digital release CG Entertainment e Vision.
L’AUTONOMIA DEL FIGLIO E L’AUTORITÀ DELLA MADRE
In una splendida tenuta di campagna, in un anno indefinito, una severa e granitica madre (Francesca Cavallin) detiene il figlio Samuel (Justin Korovin) in casa, senza dargli possibilità di fuga, né tantomeno un briciolo di autonomia. Questi, inoltre, è paraplegico, incapace di muovere le gambe. Intorno al simbiotico rapporto madre-figlio ruotano in casa altre figure, tra cui un inquietante medico (Maurizio Lombardi). Il tutto è pervaso da un’aria sospesa, un qualche strano segreto aleggia e l’unico a non capire molto è il giovane Samuel. A rompere la fase iniziale d’identificazione orrorifica è l’arrivo della graziosa e giovane Denise, proveniente dal mondo che “sta fuori”, in cui esiste la musica rock e la musica pop, di contro alla sola rigorosa presenza del classico che domina austeramente la scena interna.
THE NEST: JACQUES LACAN CON GEORGE A. ROMERO
Su The nest avrebbero parimenti da ridire sia Jacques Lacan che George A. Romero. Di fatto, il film di De Feo costruisce una trama ambivalente, con un colpo finale di sceneggiatura che costringe a una rilettura del film in senso retrospettivo o, in un concetto tanto caro a Lacan, après–coup, a cose fatte. Questo perché, un buon film, come si sa, non esplicita ma lascia intendere, gioca sull’utilizzo dei significanti, permettendo sempre di vedere come, mai semplicemente vedere.
Il piccolo, ingenuo e menomato Samuel – con l’arrivo di Denise – inizia ad assaporare il senso di una diversità che manca nei luoghi della sua infanzia, mentre aumenta sempre di più il desiderio di evasione, di infrazione, di proibito. Ebbene riuscirà a liberarsi, a tagliare quel cordone ombelicale simbolico, uscendo dai confini della tenuta insieme alla neo-amata Denise.
Dunque, il finale è lieto, il protagonista è libero dal fagocitante desiderio materno, ma il film è di fatto un horror e – non che manchi durante il corso della storia – l’elemento da orrore classico giunge soprattutto sul finale; ed ecco che arriva, per il piccolo Samuel, il gravoso colpo in testa. Quando i due fuggitivi sono abbastanza distanti dalla tenuta – negli ultimi due minuti della pellicola – Denise gli svela la verità: sono tutti zombie, il mondo esterno non è sicuro!
Qui, nello “spiegone” finale, si gioca il doppio livello di lettura della sceneggiatura di De Feo. Non è un film dal taglio psicoanalitico – come si potrebbe credere sin dall’inizio della trama – quindi quel comportamento materno di protezione, attaccamento apparentemente malato risulta essere giustificato. Questo potrebbe far arrabbiare Jacques Lacan: per un attimo il morboso controllo della madre è legittimato di fronte alla rivelazione finale.
D’altra parte però, come si anticipava, s’infurierebbe anche Romero che assisterebbe a un ulteriore decentramento della figura dello zombie e alla sua riduzione a mera cornice narrativa, quindi non sostanziale per la trama.
Tuttavia – per come è strutturato il soggetto – potrebbe valere anche il contrario e quindi si trova confermata ogni teoria sull’attaccamento materno, di fronte alla lettura simbolica del film; anzi a quel desiderio materno viene conferita un’ulteriore motivazione. Il nido si avvicina sempre più alla forma simbolica del grembo, il luogo della sicurezza al quale anche il figlio auspica il ritorno, dopo lo svezzamento.
QUALCUNO VOLÒ DAL NIDO DEL CUCULO
Così, di contro alla sicurezza delle mura della tenuta – lì dove esiste un’identità stabile, infrangibile, da preservare e dove Samuel vivrà l’eterna minore età in un sistema a lui eteronomo (e qui il riferimento simbolico corre alla paraplegia del bambino) – di contro a questa sicurezza esiste un mondo esterno, scosso dalla presenza dell’alterità. Quel mondo sta fuori, quel mondo vuole l’autonomia del soggetto, la sua maggiore età: lo svezzamento.
Eppure la libertà gode di questa duplicità: l’ adesione ad un sistema educativo-sociale stabilito, ma che allo stesso tempo fornisce i mezzi per godere poi di una seconda libertà personale e critica che inizia a stancarsi di quel sistema dal quale si proviene. Quindi non esiste autonomia che non derivi da un’eteronomia, non esiste libertà che non sia libertà da qualcosa da cui si dipende o si è dipeso. E se questo assume un valore socio-politico, essa possiede anche un valore di tipo simbolico in riferimento alla rapporto biologico e simbolico madre-figlio.
Dunque, seguendo questa linea interpretativa, se non s’inalbera Lacan, varrà lo stesso per Romero, perché i suoi zombie paradossalmente diventano protagonisti: infatti la comparsa di questi costituisce l’operatore strategico che costringe alla totale rilettura del film. Lo zombie, tra l’altro, qui diviene ancora più potente come simbolo del turpe, dello sconosciuto, del non-identitario, dell’alterità assoluta.
In tutto questo, il povero Samuel rimane vittima impaurita e della madre e del mondo esterno, in un simbolismo che rievoca il finale di È solo la fine del mondo (2016) di Xavier Dolan.
The Nest mostra l’io in bilico, attraverso l’utilizzo di una macabra e duplice metafora culinaria. Infatti, se non è la madre a fagocitare il figlio nessun problema, perché lì fuori ci sono gli zombie, per i quali il fanciullo rappresenta comunque un lauto pasto!