L’ultimo anno di Bong Joon-ho è stato il più importante della sua carriera. Dopo aver vinto la Palma d’Oro lo scorso maggio il cineasta, grazie all’acclamato Parasite, ha sbancato l’edizione 2020 degli Oscar aggiudicandosi ben quattro statuette: Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Regia, Miglior Film Internazionale e Miglior Film (mai nella storia una pellicola vincitrice del premio al Miglior Film Straniero era riuscita ad affermarsi anche nella categoria più importante).
Sfruttando l’onda mediatica del successo di pubblico e critica dell’ultimo lavoro del regista di Snowpiercer e Okja, arriva per la prima volta nelle sale italiane l’opera che ha fatto conoscere al mondo il talento dell’autore sudcoreano: stiamo parlando di Memorie Di Un Assassino (noto a livello globale come Memories Of Murder), lungometraggio del 2003 che fece il giro dei festival più rinomati (tra cui Cannes e Torino) ma che, nel nostro paese, ha avuto solo una distribuzione direct-to-video nel 2007. Ora, grazie ad Academy Two, abbiamo finalmente l’occasione di recuperare un gioiello della cinematografia orientale sul grande schermo a partire dal 13 febbraio.
LA TRAMA DI MEMORIE DI UN ASSASSINO PRENDE SPUNTO DA UNA VICENDA REALMENTE ACCADUTA
Ispirato ad un caso reale di cronaca nera, il film racconta le vicissitudini di due poliziotti impreparati e dai metodi molto poco ortodossi che si trovano a dover indagare sui delitti di un efferato serial killer (le sue vittime sono giovani donne, tutte uccise seguendo una modalità ben precisa). Da Seul arriva a collaborare alle indagini un terzo poliziotto ma, tra false piste ed errori madornali, la cattura dell’assassino sembra un’impresa quasi impossibile.
MEMORIES OF MURDER MOSTRA ALLO SPETTATORE IL TALENTO CRISTALLINO DI UNO STRAORDINARIO CINEASTA
L’Academy, con il trionfo di Parasite, ha certificato in maniera inequivocabile il talento di Bong Joon-ho ma basta guardare la filmografia del cineasta classe 1969 per comprendere l’eclettismo di uno dei più grandi autori asiatici contemporanei: dalla fantascienza all’horror, passando per il fantasy e la commedia, il regista coreano è da sempre uno specialista nell’utilizzare e mescolare generi diversissimi tra loro.
Proprio come Parasite, anche Memorie Di Un Assassino fa del mix equilibrato tra dramma e commedia il segreto del suo successo: prendendo spunto dalla vicenda del primo serial killer coreano conosciuto (attivo tra gli anni Ottanta e Novanta), Bong Joon-ho riesce con originalità a delineare uno spaccato socio-culturale realistico della Corea del Sud.
L’opera seconda del filmmaker premio Oscar mostra la precoce maturità di uno storyteller che, grazie ad una sceneggiatura di ferro, mette in scena in maniera straordinaria un crime atipico (l’elemento che più emerge nel film è il concetto della bestialità dell’uomo comune); attraverso una regia raffinata ma essenziale allo stesso tempo e una gestione del ritmo da manuale, il cineasta trascina lo spettatore in un viaggio, lungo più di due ore, all’interno dei meandri più oscuri della psiche umana.
MEMORIE DI UN ASSASSINO E IL CINEMA ASIATICO, INGIUSTAMENTE SOTTOVALUTATO DAL PUBBLICO OCCIDENTALE
La vittoria all’Oscar di Parasite, oltre per la portata storica dell’evento in sé, ha il grande merito di rimettere al centro dell’attenzione la cinematografia orientale, la quale, se escludiamo l’animazione e doverose eccezione (come, ad esempio, Old Boy di Park Chan-wook), non suscita particolare interesse presso il pubblico generalista. Gli elementi che tendono a scoraggiare uno spettatore occidentale dal guardare una pellicola proveniente dalla Cina, dalla Corea del Sud o dal Giappone sono diversi; tra questi una rappresentazione dei personaggi in scena che, a prima vista, potrebbe risultare fuori dalle righe e una sensibilità diversa sul concetto di contrapposizione tra bene e male (molto più sfumato rispetto al nostro).
Memorie Di Un Assassino ci dimostra come in realtà queste peculiarità siano dei veri e propri punti di forza: i protagonisti del film sono essenzialmente dei poliziotti dai comportamenti quasi grotteschi e dalla moralità non cristallina (da cui si evince anche una critica, nei confronti dello stato coreano, su come gestisce e seleziona le forze dell’ordine), lontani anni luce dalla figura dell’(anti)eroe carismatico che siamo abituati a vedere in Occidente. Tuttavia, quando la natura del lungometraggio cambia in maniera drastica (dai toni quasi demenziali della prima parte si passa al dramma puro), l’umanità di questi personaggi emerge con un impatto decisamente maggiore rispetto alla gran parte dei thriller o polizieschi made in Usa (merito anche della performance degli attori, tra cui segnaliamo il Kang-ho Song che abbiamo amato in Parasite).
Per i cinefili questo particolare periodo storico, di grande apertura nei confronti delle opere provenienti da tutto il mondo, è estremamente favorevole per poter recuperare splendidi film che all’epoca della loro uscita furono snobbati dalla distribuzione; se amate la Settima Arte, non potete perdere l’occasione di vedere in sala il primo capolavoro di un maestro del cinema odierno.