A distanza di due anni dalla sua prima uscita, Altered Carbon torna con una seconda stagione di otto episodi in streaming su Netflix. La serie ideata da Laeta Kalogridis (autrice di film di successo come Alexander, Pathfinder, Shutter Island) pare però aver esaurito l’impulso creativo iniziale, attingendo all’immaginario sci-fi già visto senza mostrarsi in grado di apportare nient’altro.
Principale punto di forza di Altered Carbon era infatti la volontà di andare ad accarezzare tematiche di ampio respiro quale la commistione tra tecnologia ed immortalità, seguendo il materiale cartaceo di partenza del romanzo Bay City cyberpunk-noir di Richard Morgan. Allo stesso tempo questa audacia rappresentava anche il suo maggiore tallone d’Achille, dal momento che la trasposizione scenica non sempre riusciva a veicolare la portata di un racconto sì ambizioso ma più spesso ancora pretenzioso. Nonostante questo l’equilibrio della prima stagione trovava una propria strada non certo innovativa ma senza dubbio godibile.
Altered Carbon 2: torna su Netflix la serie TV cyberpunk
Con il ritorno di Altered Carbon sui piccoli schermi (con due episodi in meno) qualcosa sembra essere andato irrimediabilmente storto. Quanto di buono era possibile trarre dal passato è stato lasciato indietro, inspiegabilmente non coltivato e anzi rigettato in toto, con una seconda stagione in grado di vanificare le ambizioni dello show.
Alla base di una storia incapace di creare mordente sin dal primo istante può essere riconosciuto anche l’allontanamento sostanzialmente definitivo dalle pagine dei romanzi, con una conseguente totale rinuncia alla possibilità di uno sfruttamento fertile di un materiale ostico da manipolare. La pretesa di questa nuova stagione è di porsi a trenta anni di distanza dagli eventi con i quali ci aveva lasciato nel 2018, allo stesso tempo recuperando i medesimi personaggi ed inserendoli in un nuovo scenario che mantenga motivazioni e background originari.
La seconda stagione di Altered Carbon manca di mordente
L’iniziale ricerca di un impulso è tentata attraverso il cambio d’attore nei panni del protagonista Kovacs, ora affidato al Falcon marveliano Anthony Mackie grazie alla incredibile flessibilità teorica consentita dal discorso legato alle pile corticali-custodie. Ma l’esplorazione dell’intrigante tema di un backup digitale applicabile agli esseri umani è messo quasi del tutto in disparte, preso ad elemento fattuale e non più affrontato di petto come si tentava di fare nella prima stagione.
Sicuramente è vera la necessità di dover creare uno scarto nel tentativo di suscitare interesse e muovere oltre con un nuovo racconto, nuove location e nuove sfide da affrontare. La realtà dei fatti è che tutto ciò non avviene nemmeno nelle intenzioni di partenza, con una sostanziale (ed immediata) regressione su di un territorio già ampiamente esplorato dalla fantascienza e che si sfoltisce di tutti quei germogli ipoteticamente fecondi.
L’errore è di quelli più sciocchi, legato alla golosità di andare a cercare uno slancio verso un discorso ancora più profondo ed apparentemente inevitabile da approcciare per qualsiasi prodotto sci-fi, quale è l’incontro con l’altro, con l’alieno. Il percorso è ad ostacoli ed è semplice scadere nel melodramma più spicciolo e nella riflessione facilona (ed Altered Carbon ci finisce con tutte e due le scarpe). Esiste quindi la necessità di doversi tutelare con i due principali elementi in grado di poter sopperire preventivamente alle mancanze di una trama traballante: recitazione e messa in scena.
Una recitazione poco ispirata e ambientazioni artificiose
In entrambi i casi la serie della Kalogridis delude clamorosamente, con un ulteriore passo indietro rispetto a quanto in passato è stato costruito con fatica ed un pizzico in più di dedizione. I vecchi volti non si amalgamano mai del tutto alle poco ispirate new entry (tra le principali Lela Loren, Dina Shihabi, Simone Missick e Torben Liebrecht), che anzi sembrano viaggiare ognuna sul proprio binario apportando un senso di scollatura in più ai ruoli che sono chiamati ad interpretare. L’immedesimazione è azzoppata (ma la mancanza non giustificata) anche da una costruzione dello script che vorrebbe viaggiare dalle parti dello psicologico ma si accontenta di costruire rapporti umani da telenovelas, con dialoghi al miele e rovesciamenti di fronte ampiamente prevedibili.
Il tutto è infiocchettato con una confezione scenografica che ha il sapore della plastica in ognuna delle cinque location proposte, demarcando notevolmente l’ennesima distanza che separa la nuova stagione di Altered Carbon dalla precedente. Risulta incomprensibile l’abbandono in tutto e per tutto di quella parziale dimensione noir che per quanto visivamente economica conteneva in modo funzionale e credibile le prime vicende di Kovacs e compagnia. Harlan’s World, il pianeta dove sono ambientate le nuove puntate, sembra uscito da un format di fantascienza che più standard non si sarebbe potuto nemmeno tra le pagine della collana di romanzi di Urania, talmente svilito da neon, schermi e graffiti che a risentirne è l’intera narrazione, dalle sparatorie (anche quelle piatte) ai momenti meno concitati e riflessivi.
Promuovere la seconda stagione di Altered Carbon si rivela quindi difficile. La serie commette l’errore di non apprendere nulla dall’impalcatura preesistente e si allontana dal discreto sentiero tracciato, andando ad inerpicarsi in faccende che già tanti altri hanno sbrigato prima di lei. E decisamente meglio.