Presentato nel 2017 alla Fondation Cartier pour l’Art Contemporain di Parigi e rilasciato tre anni dopo su Netflix il 20 gennaio in occasione del compleanno del regista, il cortometraggio What Did Jack Do? non è solo la sintesi stilistica della straordinaria carriera di David Lynch ma anche il possibile preludio ad una nuova e suggestiva collaborazione tra il creatore di Twin Peaks e il colosso dello streaming a stelle e strisce (secondo alcune indiscrezioni il regista starebbe lavorando ad una limited series che vedrebbe Laura Dern e Naomi Watts nel cast).
WHAT DID JACK DO? RIPRENDE TUTTI GLI ELEMENTI DELLA POETICA DI LYNCH
L’opera, attraverso l’uso del bianco e nero, mostra il lungo interrogatorio tra un detective e un sospettato di omicidio, all’interno di una stazione ferroviaria. Nubi di fumo incorniciano i protagonisti mentre sorseggiano grandi tazze di caffè bollente. Diciamocelo, scritta così la trama non presenta nulla di inedito. Potrebbe essere benissimo la scena di un vecchio noir uscito dalla penna di Dashiell Hammett con Humphrey Bogart come attore protagonista. Eppure i titoli di coda parlano chiaro: scritto e diretto da David Lynch, il regista il cui cognome si è trasformato nell’aggettivo più gettonato per identificare un particolare stile narrativo.
Facciamo luce sul significato del termine lynchiano. Secondo lo scrittore David Foster Wallace, in una vecchia intervista televisiva nel programma di Charlie Rose, è “l’incredibilmente grottesco che esiste in una specie di unione con l’incredibilmente banale”. Una descrizione tanto concisa quanto efficace. Allora What Did Jack Do? diventa profondamente lynchiano se alla trama aggiungiamo che il sospettato non è nient’altro che una scimmia cappuccino in giacca e cravatta (la stessa già apparsa nella sitcom Friends), il detective Lynch stesso e il colloquio un diluvio di frasi ambigue e sconclusionate. Inoltre si ricorre ad effetti speciali volutamente abborracciati, come l’inserimento di una bocca umana in deepfake sul volto del primate. Il cortometraggio finisce per sovvertire gli schemi tradizionali della grammatica poliziesca, la trama diventa quasi secondaria e gran parte dell’attenzione viene rivolta alla cura delle atmosfere. Tutto sfocia nell’assurdo, e allo stesso tempo nella normalità (per chi è già avvezzo alla poetica del geniale autore).
What Did Jack Do? è un piccolo contenitore di tratti distintivi dell’arte visionaria di Lynch. È un utilissimo abbecedario del suo cinema, perfetto per chi voglia scoprirlo o riscoprirlo. Evidenti sono i riferimenti ad Eraserhead, Strade Perdute, Twin Peaks e Velluto Blu; oltre a ciò utilizza dialoghi che rigettano il classico linguaggio logico-consequenziale in pieno stile Rabbits. Eppure questi sono soltanto alcuni degli aspetti comuni che lo legano all’intera produzione passata del cineasta.
DAVID LYNCH, WHAT DID JACK DO? E I SUOI CORTOMETRAGGI
Il regista non è nuovo alla realizzazione di film dalla breve durata. La sua carriera inizia proprio con una serie di cortometraggi: il primo di questi è Six Men Getting Sick del 1967. Già dagli esordi si intravede la grande abilità nella costruzione di atmosfere sospese, oniriche, indecifrabili; allo stesso tempo traspare la naturale disposizione per la sperimentazione. The Alphabet del 1968, per esempio, parte dal tema dell’istruzione scolastica per confezionare un incubo dalla grande forza visiva. Unisce l’arte plastica al cinema, lo stop-motion e il patchwork fotografico alle opere di Francis Bacon e Gustav Klimt; inoltre gli effetti sonori ben studiati destabilizzano lo spettatore. Due anni più tardi torna con un altro piccolo gioiello intitolato The Grandmother, che segna l’avvicinamento ad un’idea più classica di cinema, meno sensibile alla sperimentazione ma decisamente più interessata al congegno narrativo delle storie messe in scena. Dopo l’ultimo lavoro pre-Eraserhead, The Amputee (girato nel 1974), Lynch ha continuato negli anni, in maniera più o meno continua, a produrre cortometraggi iconici in grado di ampliare il suo universo artistico.
La notevole produzione di corti, anche se meno conosciuta rispetto ad opere del calibro di Mulholland Drive o The Elephant Man, ha un ruolo di primaria importanza nella filmografia del regista perché si tratta di un’ottima palestra in cui da sempre sperimenta nuove idee. Ecco il motivo per cui meriterebbe una maggiore attenzione da parte del pubblico.