Il Buco (titolo originale El Hoyo, titolo internazionale The Platform) segna il debutto alla regia di Galder Gaztelu-Urrutia e vede nel cast Iván Massagué (Il Labirinto del Fauno), Antonia San Juan (Tutto Su Mia Madre) e Zorion Eguileor (La Caccia – Monteperdido). Il film del 2019, acclamato al Toronto film festival, ad Austin, al Sitges e da noi al Torino Film Festival, è l’ennesima sorpresa nascosta fra le pieghe della vasta produzione cinematografica di media grandezza, rintracciata e distribuita da Netlflix.
IL BUCO: IL FILM NETFLIX COME TRATTATO SOCIO-POLITICO
In una torre dal numero indefinito di piani (nell’ordine del centinaio), il protagonista de Il Buco (Iván Massagué) si trova volontariamente recluso per sei mesi e con una copia del Don Chisciotte. Seppure la sua idea iniziale sembri essere quella di una comoda permanenza per un esperimento da psicologia sociale, si scopre coinvolto in un incubo senza tempo e senza spazio, in uno scontro umano fra i diversi livelli della torre, tra i quali scende ogni giorno a senso unico una piattaforma piena di leccornie. Il banchetto luculliano non è però per tutti: i piani inferiori devono infatti accontentarsi degli avanzi sempre più esigui dei piani superiori, scatenando così una dura lotta per la sopravvivenza dai macabri e crudi risvolti. A intervalli regolari però i prigionieri si risvegliano in un nuovo piano scelto in modo apparentemente casuale.
HOMO HOMINI LUPUS: UN CENTRO VERTICALE DI AUTO-GESTIONE
La sceneggiatura del film – che presenta un finale aperto – opera sulla scia delle teorie contrattualistiche del moderno, con risvolti e letture a carattere psicoanalitico legando le due prospettive in un thriller dal tono psico-sociale.
Già la scansione della torre su più livelli lascia intravedere una differenziazione sociale estremamente classista, per cui i privilegiati dei primi livelli possono di fatto godere a pieno e irresponsabilmente dell’abbondanza di cibo presentata dalla piattaforma/tavola imbandita. Tuttavia, nella lenta discesa verso i piani inferiori, queste cibarie vengono consumate con sempre maggiore avidità e con modalità animali di accaparramento e ingozzamento, che mostrano il peggio di un umano convertito allo stato di natura in vista della sopravvivenza. Allo stesso modo, in una gabbia nella quale il più forte prevarica sistematicamente il più debole, il potere improvviso può privare di ogni empatia.
Lupus homo homini: il motto hobbesiano pare avere una vasta eco nell’intelaiatura complessiva del film, riproponendo l’oscillazione continua fra l’animale e l’uomo, fra l’istinto naturale e l’istinto morale. E così, come i livelli si strutturano dal basso all’alto, in una sorta di copertura stratificata che procede dal naturale all’artificio sociale, allo stesso modo il comportamento umano è regolato sulla base di un criterio essenziale: il cibo.
FREUD E HOBBES: EL HOYO COME THRILLER PSICO-SOCIALE
Un esperimento interessante, dunque, che rivela le constatazioni del contrattualismo e anche le sue intrinseche possibilità. Collaborare per avere tutti un po’ di cibo, permettendo una sopravvivenza collettiva dal primo all’ultimo livello, modulando gli istinti e richiamando alla ragione e all’empatia, seppure neanche questo sembri funzionare. L’uomo, alle strette, è ricondotto verso la mera istintualità, da cui il parallelo psicoanalitico del lento procede dal conscio all’inconscio, dalle più alte costruzioni morali all’Es freudiano.
IN THE PLATFORM DON CHISCIOTTE INCONTRA I SAMURAI
E se i contratti costruiscono mondi vivibili, società in cui l’oggetto fondamentale è la convivenza della libertà di ognuno, rimuovendo le condizioni di conflitto a cui irrimediabilmente induce lo stato di natura, il film di Gaztelu-Urrutia diventa una spietata critica sociale all’elitarismo, alle differenze di classe che, in realtà, riflettono ancora le condizioni dello stato di natura. Così, mentre ai piani alti s’ingozzano di escargot, ai piani più bassi non rimangono che le ossa (per i più fortunati).
Il sistema complessivo della torre vuole questo: la fame, la lotta, la morte. È un sistema in cui non c’è spazio per la sensibilità dell’uomo di cultura che porta con sé il Don Chisciotte, ma c’è invece ampia accoglienza per chi sa vivere nello stato di natura, mano a mano comprendendone le leggi e portando con sé un Samurai Plus: un coltello raffinatissimo che, in tempi di carenza di cibo, può essere utile a sviscerare ogni cosa che soddisfi il criterio di commestibilità. Eppure proprio la visionaria follia di un Chisciotte che persegue la sua santa battaglia ignorando le convenzioni che lo circondano potrebbe essere l’unica speranza di scardinare un ecosistema sociale malato.
IL BUCO E LA FILOSOFIA DELLA PANNACOTTA
Se c’è un modo in cui utopicamente si tenta di far capire al sistema che non si vuole soccombere, che si può essere diversi da come si è mettendosi tutti d’accordo per creare una società regolamentata da un pactum, questo probabilmente il sistema stesso non lo permette, manifestando il suo fondamento irregolare, i suoi meccanismi indiscriminati, il suo andamento casuale.
Non si sa se la condotta morale definisca o meno il prossimo livello in cui si troverà il mal capitato, non è dato sapere se – volendo lanciare un messaggio – questo arrivi ai piani alti. Un messaggio che possa dire – grazie all’affermazione del buon senso con la forza – che si può non soccombere alla Natura e che un sistema diverso può essere ragionevolmente creato.
È tuttavia necessario un sacrificio, un simbolo di gratificante speranza che possa dire senza parlare, un oggetto che possa ergersi a significato di un’istanza morale che vuole sopravvivere al tragico dominio della necessità naturale.