Nel settembre 1989 sul magazine britannico Connoisseur apparve un articolo a firma di Howard A. Rodman con un titolo a dir poco enfatico: “The series that will change TV forever”. Rodman fu uno dei primi fortunati critici ad assistere, in anteprima al Miami Film Festival di quell’anno, alla proiezione del pilota di una nuova serie televisiva ideata da David Lynch e Mark Frost: Twin Peaks.
Nella sua recensione Rodman raccontò l’incredulità di trovarsi di fronte a un prodotto che superava e rivoltava ogni cliché della serialità televisiva. Mentre fino ad allora la televisione aveva offerto al suo pubblico delle serie coerenti e perfettamente riducibili in schemi e generi narrativi ben definiti, “addomesticando” lo spettatore e rendendolo passivo alla fruizione dello show, la serie di Lynch e Frost confondeva terribilmente le acque fin dal suo primo episodio. “In Twin Peaks non ti viene detto se si deve ridere o piangere, essere spaventati o sentirsi sicuri. Ci sono dei cadaveri, ma non è un melodramma; vi è una coppia di poliziotti molto diversi fra loro ma non è una buddy series; ci sono momenti di umorismo pungente e lancinante ma non è in nessun modo una commedia” scrisse Rodman. E concluse: “è molto di più di quello che la TV ha mai tentato di realizzare”.
Twin Peaks di David Lynch: la genesi del culto
Questa sensazione che la serialità televisiva stesse prendendo una svolta inaspettata e rivoluzionaria divenne chiaro a tutti quando l’8 Aprile del 1990 Twin Peaks fece il suo debutto sul canale televisivo ABC. Già settimane prima decine di recensioni anticiparono i personaggi bizzarri e le tematiche scandalose contenute nella serie, citando più volte il cinema eclettico e visionario di David Lynch. Grazie a questo hype, fuori dagli standard dell’epoca, l’episodio pilota fu seguito da 34,6 milioni di persone e per molti di loro fu un’esperienza totalmente estraniante: sul piccolo schermo non si era mai visto niente di simile. Il genere della soap-opera veniva citato e nello stesso tempo ibridato a un sottotesto misterioso ed ambiguo che ricordava le atmosfere oscure del lynchiano Velluto Blu.
L’uso di artifici cinematografici (basti pensare alla dissolvenza incrociata nella sigla iniziale), una recitazione degli attori sopra la media rispetto ai canoni televisivi e persino l’uso non convenzionale e quasi “narrante” della colonna sonora composta da Angelo Badalamenti furono i primi segnali di una rivoluzione che stava bussando alla porta di casa di milioni di americani. In una sola notte prese forma uno dei fenomeni culturali in ambito televisivo più significativi di sempre e l’immagine di Laura Palmer – la ragazza più popolare della cittadina di Twin Peaks trovata cadavere e avvolta in un telo di plastica – divenne l’icona di una narrazione che appassionò per mesi buona parte del pubblico statunitense e non solo.
Chi ha ucciso Laura Palmer?
Con il susseguirsi degli episodi l’impianto di Twin Peaks divenne ancora più labirintico e criptico, stratificando un immaginario debitore al giallo, al noir e perfino all’horror paranormale. La domanda “chi ha ucciso Laura Palmer?” divenne un tormentone sui media e nella vita quotidiana delle persone, generando una sorta di indagine collettiva per risolvere il mistero della morte del personaggio interpretato da Sheryl Lee. Consapevoli di questo Lynch e Frost tennero segreta la risposta fino alla fine della prima stagione, girando le scene in cui appare l’assassino con diversi attori che di volta a volta ne vestivano i panni, per evitare che lo stesso cast potesse arrivare a conoscerne l’identità.
In questo modo la televisione passò dall’essere un mezzo di fruizione passiva a un centro mediatico che irradiava intorno a sé l’immaginario di Twin Peaks, coinvolgendo gli spettatori anche dopo la visione degli episodi. Il giovedì sera andava in onda una puntata di Twin Peaks e già il venerdì centinaia di migliaia di persone si abituarono a discutere con colleghi di lavoro, parenti e amici dei misteri emersi nell’episodio visto la sera prima, avanzando teorie, interpretazioni e provando a decifrare le scene oniriche e più enigmatiche. In breve tempo nacquero anche i Twin Peaks Parties, in cui gruppi di persone si davano appuntamento per guardare insieme le puntate della serie in un’epoca in cui non esisteva ancora il web. Non è difficile immaginare che un simile culto sarebbe diventato, ai giorni nostri, un fenomeno virale.
Snoqualmie caput Mundi
Ma la mania per Twin Peaks non fu solo un fenomeno statunitense. Mentre nel paese venne prodotto e promosso un merchandise legato alla serie che andava dalle t-shirt con la scritta “I killed Laura Palmer” fino ai cibi che facevano capolino nello show (le ciambelle e i caffè consumati nella stazione di polizia dello Sceriffo Harry S. Truman), un’agenzia giapponese, la Japan Travel Bureau, era solita portare migliaia di cittadini nipponici a visitare la cittadina di Snoqualmie, nello stato di Washington, la stessa scelta come ambientazione per la serie. I fan potevano dormire al Great Nothern Hotel, mangiare torta di ciliege e farsi fotografare dentro dei sacchi di plastica.
Inoltre non mancano aneddoti sopra le righe che dimostrano ancora oggi come lo show appassionò non solo le masse, ma anche le élite più insospettabili. Paul McCartney raccontò come una volta la Regina Elisabetta II interruppe un suo concerto privato organizzato per il compleanno della sovrana per andare a vedere un episodio della serie e Mikhail Gorbaciov, all’epoca presidente dell’URSS, pare fosse così ossessionato dalla risoluzione dell’omicidio di Laura Palmer che chiese all’allora presidente USA George Bush di svelargli il nome dell’assassino. Attraverso un giro di telefonate fra addetti ai lavori la richiesta di Gorbaciov arrivò direttamente a David Lynch che però decise di non rivelare niente, trattando il Presidente sovietico come un qualsiasi altro fan.
Twin Peaks in Italia
Anche nel nostro paese l’impatto culturale di Twin Peaks fu dirompente. I diritti televisivi per la messa in onda italiana furono acquistati dalla Fininvest che investì nella serie di Lynch e Frost facendo dello show ABC il prodotto di punta del palinsesto di quella stagione. Il 9 gennaio 1991 Twin Peaks esordì in Italia su Canale 5, preceduta da un galà di presentazione la sera prima. Già allora l’aspettativa era altissima: la serie era stata pubblicizzata attraverso dei promo televisivi inusualmente misteriosi, nei quali il titolo era ripetuto per tre volte in modo inquietante.
Alla campagna televisiva si aggiunse una massiccia promozione sulla rivista Tv Sorrisi e Canzoni che contribuì a generare ulteriore hype fra gli spettatori: agli articoli, alle copertine e agli approfondimenti seguirono, durante la messa in onda della serie, i riassunti delle puntate precedenti che alimentavano l’attesa per l’episodio successivo. Allegati alla rivista uscirono presto anche dei feticci: “Il diario segreto di Laura Palmer” e le due catenelle con il cuore spezzato che appaiono in diversi episodi dello show. Più in generale la popolarità di Twin Peaks raggiunse da noi livelli così significativi tanto da riflettersi sulla cronaca nera: per i casi di omicidio che avvennero tra il 1991 e il 1992 in piccoli paesi di provincia fu riproposto dai media il parallelismo con l’assassinio di Laura Palmer in Twin Peaks.
Fra tutti, il ritrovamento sulle rive del lago Trasimeno del cadavere della ventisettenne Francesca Ragni, avvolto in una coperta. C’è infine da segnalare un episodio decisamente folkloristico durante il derby Roma-Lazio del 6 aprile 1991: alludendo all’assenza dei biancocelesti dalle coppe europee, i tifosi della Roma esposero uno degli striscioni più memorabili della storia giallorossa, “Il mercoledì: a noi l’Europa, a voi Twin Peaks”.
L’inestimabile eredità di Twin Peaks
A più di venticinque anni di distanza Twin Peaks è diventato a giudizio di tutti il prodotto più influente nella storia della serialità, l’anticipatore di quelle tendenze che con il tempo si sono consolidate e hanno contribuito a rendere il mondo delle serie televisive un fenomeno di massa così come lo conosciamo oggi. Innanzitutto Twin Peaks ha aperto le porte della televisione non solo all’estetica cinematografica, ma anche alla sua autorialità. David Lynch fu il primo regista di una certa fama a mettersi in gioco in televisione, dimostrando che si poteva fare del buon cinema anche sul piccolo schermo.
Dopo di lui fecero lo stesso decine e decine di altri prestigiosi filmmaker, fra cui Martin Scorsese, David Fincher e Steven Soderbergh. Dopotutto fu proprio Twin Peaks a dimostrare che l’intrattenimento televisivo poteva capovolgere le convenzioni, contaminando la visione generalista con una dimensione ambigua e non lineare. Infine la stessa serialità ha assunto un diverso significato prima e dopo l’epopea creata da Lynch e Frost. Se prima i singoli episodi di una serie televisiva vivevano di una certa autonomia rispetto alla trama generale, con Twin Peaks l’assunto si rovesciò: fu l’immaginario generale della storia ad appassionare il pubblico che doveva, pezzo dopo pezzo, ricomporre un puzzle per arrivare a risolvere l’enigma della morte di Laura Palmer. Prodotti come The Killing, Top of the Lake, Broadchurch e più recentemente True Detective hanno dimostrato di utilizzare lo stesso approccio disseminando misteri e indizi per scatenare hype ed attribuire allo spettatore un ruolo attivo di “investigatore”.
Proprio per il suo carattere pioneristico, il ritorno di Twin Peaks – da noi in onda su Sky Atlantic dal 21 maggio – assume le caratteristiche di un evento culturale ancor prima che televisivo. Dall’altra parte la complessità e l’ambiguità che rendevano la creatura di Lynch unica 25 anni fa oggi sono diventate quasi una norma. Come si adatterà questa terza stagione a quel modello di serialità che ha contribuito a generare? Che impatto potrà avere sulla consolidata dimensione fandom del web? In definitiva: può esistere una Twin Peaks oltre Twin Peaks?