Dalla fredda terra norvegese è atterrata nel catalogo Netflix Bloodride, serie antologica che tenta di offrire una miscela di horror macabro e psicologico presentando molti degli stilemi che abbiamo imparato a conoscere sulla piattaforma streaming statunitense. Creata da Kjetil Indregard e Atle Knudsen, Bloodride è un prodotto confezionato per risultare efficace su breve scala, e ci riesce. Sei episodi che oscillano ognuno tra i 25 e 32 minuti racchiudono storie abbastanza eterogenee che in comune condividono solamente un’intro suggestiva e la composizione della struttura di fondo dei piccoli racconti che si vanno ad aprire e chiudere in un battito di ciglia sullo schermo (in un’idea più funzionale sullo smartphone che sulla tv).
Bloodride sulla scia degli originali Netflix
L’impostazione, a partire proprio dalla durata contenuta, richiama a gran voce quella consolidata tendenza dei più recenti originali Netflix atta a colpire con un pungiglione subito ritratto volto a stimolare una visione rapida, concisa, senza fronzoli. Basti pensare (con differenze contenutistiche) proprio a I Am Not Okay With This, sulla scia dei più noti Sex Education e The End of The F***ing World (in origine un prodotto Channel 4) la cui pasta anglosassone allunga la mano anche su Bloodride a caratterizzarne pure l’impianto visivo e la resa stilistica tutta. Dicevamo che la serie però funziona, e lo fa soprattutto perché rinuncia a qualsiasi pretesa che possa appesantirne il contenuto e la fruizione (che sia un bene o un male sta a voi), limitandosi a svolgere un compito di intrattenimento a tratti anche in modo egregio.
È chiaro che non troverete nessun nuovo paradigma di genere in Bloodride, giocata in tutti e sei gli episodi su una struttura narrativa che segue lo schema standardizzato del novità-stranezze-plot twist finale. La carta vincente è nell’esplicita volontà di non volere nascondere in nessun modo questa costruzione ripetuta del racconto di fondo, ma anzi porla a interesse principale dello spettatore che tende ad accettarla e goderne il più possibile nei suoi risvolti.
La serie tutto sommato funziona ed è efficace
Non tutti gli episodi riescono a giostrare il modello sullo stesso efficace livello di tensione, oscillando in un paio di occasioni dalle parti di qualcosa di davvero spicciolo ed incapace di pungere come si accennava sopra. In particolare modo i racconti meno interessanti sono proprio quelli che considerano il paranormale come elemento cardine, sviscerato in maniera ancora più superficiale di quanto gli esigui 30 minuti permettano di fare già di per sé. Gli episodi punta di diamante di Bloodride sono invece quelli orientati all’assurdo ed allo stravolgimento psicologico, con due o tre storie che mettono sul piatto uno script ottimale ed in grado di risultare davvero avvincenti seppur nella loro semplicità di fondo. In più di un’occasione si va a strizzare l’occhio anche dalle parti di Black Mirror, del quale si fa tesoro non solamente per la natura antologica condivisa e qualche rimando narrativo, ma anche per la capacità di comprimere gli archi in singole puntate, in Bloodride esercizio portato ancor più all’estremo.
La visione è consigliata a patto che si sia consapevoli di voler godere di una serie basata su dei cortometraggi che scorrono via uno dopo l’altro come flash, con alcuni alti ed alcuni bassi che traggono la loro forza proprio dalla brevità e dalla varietà narrativa.