Pensato e scritto per parlare ad un popolo nello specifico, quello americano, The Hunt in Italia difficilmente riuscirà a riscuotere molti consensi. D’altronde anche in terra statunitense il film è stato circondato da discussioni e dibattiti che ne hanno accompagnato la travagliata distribuzione posticipata dal settembre dello scorso anno fino al 13 marzo (principalmente a causa delle sparatorie a Dayton ed El Paso nei primi giorni di agosto).
C’è chi lo ha accusato di essere venato da una visione di destra, chi dice lo sia da quella di sinistra, il terzo progetto del 2020 in casa Blumhouse è sicuramente stato “quello più chiacchierato dell’anno nonostante nessuno lo avesse visto”, come recita la tagline stessa della copertina. Da noi salta la sala e atterra direttamente nel catalogo streaming di Chili, con più dubbi che certezze.
Damon Lindelof tra gli autori di The Hunt
Perché se la sceneggiatura si fregia dell’illustre nome di Damon Lindelof (Lost, Watchmen), assistito nel lavoro dall’altro paio di mani del giovane Nick Cuse, non siamo del tutto convinti che il portato satirico della pellicola spinga i giusti bottoni fino in fondo. The Hunt si carica della metafora della caccia scivolando dentro il racconto del 1924 di Richard Donnel e del suo “big-game hunter” di uomini, cercando di riconfigurarlo ai tempi dell’America di trumpiana fattura. Quindi ci si cala in una radura imbavagliati (con Betty Gilpin di Glow in testa) e senza ricordo di come ci si sia arrivati, con una cassa piena di armi e munizioni che sembra richiamare un modello videoludico alla “battle royale” ma che in realtà dà solo l’illusione di essere parte attiva del gioco. Viene poi sparato un colpo ed un cranio salta in aria, mentre una granata esplode e le viscere del malcapitato di turno si spargono sul prato.
L’etichetta sotto la quale il film si pone è dal primo istante grottesca e dai connotati fortemente splatter, inquadrata dalla regia di Craig Zobel in una chiave ironica e impietosa. Seguendo quest’onda lo script procede nella sua estremizzazione dell’esposto metaforico parlando per stereotipi e stirando il più possibile ai margini i poli di pensiero che va a mettere davanti lo schermo, non lasciando zone grigie ma tingendo tutto di bianco e di nero su due lati di una moneta.
In realtà svela poco a poco motivazioni, cause e concause, mettendo in bocca alle proprie macchiette le essenziali linee di dialoghi funzionali al delinearne la sagoma e porzione di società dalla quale sono estratte. Da oltre metà film in poi qualcosa in più viene svelato, per poter esporre alla luce del sole la frizione tra le parti: ovvero quella tra la “liberal élite” della left wing americana fatta di manager e letterati (qualcosa che nello stivale è più o meno riassumibile sotto l’abusata definizione di “radical chic”), e la pancia più gretta della destra, dei razzisti ignoranti del sud e degli strenui difensori del primo emendamento.
Un racconto satirico che si accontenta di una cornice accattivante
Quello che non funziona mai del tutto è questa pompata esposizione dell’ipocrisia degli estremi declinata nella veste di un sanguinolento slapstick, dove Lindelof e compagnia non fanno sconti né da una parte né dall’altra e nel ruolo di mattatori non trovano una vera chiave di volta, dove non basta tirare in ballo Orwell per chiudere il cerchio. Con il passare dei minuti (90 complessivi) il sentore è che il testo critico vada a scialacquarsi nel paratesto filmico, preso sempre più dalla frenesia e collassato sulle sue stesse gambe, alla fine senza dirci nulla.
Interessa sicuramente di più il discorso che si pone a scintilla scatenante della carneficina e che si porta dietro una necessaria rivalutazione di quella che è la responsabilità delle proprie azioni in rete. È la mancanza di una coscienza di quel non-spazio che è internet a dare fuoco alle polveri, dove è il sentirsi legittimati dall’immaterialità della presenza personale a far emergere gli aspetti più repressi e le opinioni più squallide, certi poi di risultare intangibili e quindi intoccabili. Su questo, però, The Hunt non si sofferma poi molto, prediligendo l’aspetto politico, dello scontro di classe, raccontando poco o nulla se non dentro una cornice discretamente accattivante.