In tempi duri e surreali come quelli della reclusione forzata dovuta alla pandemia di Covid-19, c’è una serie di documentario che ha incollato allo schermo tutto il mondo, scalando ogni rating di Netflix e diventando un vero caso internazionale: parliamo di Tiger King, la straordinaria e grottesca docuserie di Rebecca Chaiklin ed Eric Goode che ci trascina in un improbabile turbinio di animali bellissimi ma pericolosi e di umani cartooneschi ma spietati.
LA STORIA VERA DI JOE EXOTIC, TROPPO ASSURDA PER ESSERE FINTA
Tiger King documenta l’incredibile ascesa e la rovinosa caduta di Joe Exotic, personaggio talmente sui generis che la sua storia vera risulta più incredibile di qualsiasi finzione. Spregiudicato proprietario di uno zoo privato in cui felini feroci vengono trattati come attrazioni da circo, Joseph Allen Maldonado Passage (questo il suo vero nome) è uno sgargiante cowboy gay e poligamo, col mullet alla tedesca e con un debole per le armi da fuoco, che coltiva il culto della propria personalità e soggioga col suo improbabile carisma un gruppo di bifolchi ed ex detenuti che diventano la sua ‘corte’.
Dal suo G.W. Zoo il “Tiger King” non solo dispone di tigri e leoni come fossero giocattoli di cui liberarsi in caso di necessità, ma è al centro di un fiorente traffico illegale di animali esotici, trasmette un reality show auto-prodotto in cui minaccia continuamente di morte i suoi oppositori, si finge un cantante country registrando video musicali nei quali la voce non è la sua, si improvvisa candidato governatore dell’Oklahoma e, in sostanza, fa qualsiasi cosa in suo potere per assecondare il suo disperato bisogno di essere notato.
UNA NEMESI ALL’ALTEZZA DEL PROTAGONISTA: CAROLE BASKIN CONTRO JOE EXOTIC
Perennemente in guerra con associazioni animaliste, Joe Exotic se la vedrà nel corso degli anni soprattutto con la proprietaria del ‘santuario’ Big Cat Rescue Carole Baskin, che è riuscita a costruirsi una fama di salvatrice dei grandi felini pur essendone probabilmente solo un’altra sfruttatrice. La donna, una figlia dei fiori dal passato travagliato e che molti sostengono abbia ucciso il marito milionario per ereditarne lo sterminato patrimonio, vuole privare Joe del suo regno e portare tutte le sue tigri nel proprio ‘zoo’.
Uno scontro senza esclusioni di colpi cui i due si dedicano in modo ossessivo, interpunto da reciproci tentativi di sabotaggio, processi, campagne mediatiche oltre il limite del consentito e, soprattutto, un crescendo di minacce di morte. Anni di dispute che diventano il cuore narrativo dei sette episodi di Tiger King, facendo da catalizzatore per tutti gli altri incredibili personaggi e portando all’allucinante delirio finale.
TIGER KING PROPONE UNA MEMORABILE GALLERIA DI PERSONAGGI DA AMARE E ODIARE
Al netto degli interminabili colpi di scena che rendono oltremodo sorprendente ogni singola puntata di questa meravigliosa docuserie, a colpire è un affollato universo di personaggi eccentrici; veri, verissimi, eppure talmente peculiari da sembrare frutto di uno sceneggiatore fin troppo fantasioso: un redneck omosessuale, un truffatore scambista e omicida, un santone poligamo, un narcotrafficante internazionale, un transgender monco e impavido, un giovane suicida, un sicario taciturno, un individuo con protesi alle gambe dipinte a tema horror e così via… Una galleria di individui tutti con un look che non sfigurerebbe ne Il Grande Lebowski e che spesso nascondono un lato oscuro, ma che, con le dovute eccezioni, spesso sono così incredibilmente carichi di umanità da suscitare una perversa forma di immedesimazione e fascinazione.
Nonostante Joe Exotic sia un personaggio oggettivamente spregevole e capace di azioni ripugnanti, il suo personale viaggio nel quale l’iniziale passione viene dapprima soppiantata dalla sete di profitto e poi dall’ossessione maniacale rappresenta una parabola discendente così vorticosa da portare in qualche modo a empatizzare con un ‘ultimo’ che ha sempre avuto il coraggio di essere ‘diverso’. La sua ossessione di ostentare successo e di spettacolarizzare tutto di fronte alle telecamere è infatti al contempo un manifesto segno di fragilità, è ed proprio questa sua grottesca debolezza a insinuarsi sotto la pelle dello spettatore e a creare emozioni tanto contrastanti.
IN TIGER KING UN’IRONIA ALLA MICHAEL MOORE DENUNCIA GLI USA PIÙ RETROGRADI
Dal punto di vista tecnico Tiger King ha una realizzazione ineccepibile. Una vera macchina della tensione che, tra colpi di scena e cliffhanger, snocciola poco per volta un climax crescente di follia ed eccentricità. Se a stupire è l’incredibile mole di girato cui hanno potuto attingere i registi e sceneggiatori Chaiklin e Goode, integrandola con interviste straordinariamente concepite per far ‘sbottonare’ i vari protagonisti della storia, a rivelarsi fondamentale è anche il montaggio serrato e ricco di ironia che ricorda il migliore Michael Moore. Non un caso, dato che nell’affollata editing room c’è anche quel Doug Abel che ha montato Farenheit 11/9.
La serie Netflix è una delle offerte più originali che il mercato dello streaming ricordi e sulla piattaforma streaming sta battendo ogni record di visualizzazioni, superando Stranger Things e insidiando The Witcher e La Casa di Carta. Tiger King infatti è un vero inno al binge watching, con i suoi 7 episodi da 45 minuti (più uno speciale finale condotto in quarantena da Joel McHale di Community) che si concatenano a perfezione, senza peraltro scadere mai nel banale. Non solo un monumento al demenziale bifolco americano, ma il riuscito tentativo degli autori di mostrare, velatamente, tutte le falle e le contraddizioni di un sistema nel quale tuttora manca una legge che vieti il contrabbando o l’allevamento domestico dei grandi felini. Una perla cult capace di ridefinire il concetto stesso di documentario; la coda lunga di un reality che si trasforma in una variopinta denuncia delle proprie star.