C’è un’immagine plastica che ritrae a colpo d’occhio la totale mancanza di rispetto mostrata dai David di Donatello 2020 all’industria del cinema, ed è quella delle grafiche social che hanno accompagnato la serata di premiazione. Gli unici vincitori a meritarsi uno foto vicino al proprio nome infatti sono stati gli attori, mentre chiunque altro abbia lavorato ai film nominati e premiati rimane ancora una volta colpevolmente senza volto.
Non una novità, dato che le grafiche sono ‘riciclate’ e sono esattamente le stesse usate nel 2019, ma solo l’ennesima conseguenza del vizio comune di non riconoscere la dovuta importanza a chi i film li plasma dietro le quinte. Un pessimo segnale, soprattutto perché denota una mancanza di sensibilità in un momento storico nel quale la pandemia di Covid-19 ha immobilizzato un settore che ora rimane tra i più invisibili e tra quelli col futuro più imperscrutabile. Ma i lavoratori dello spettacolo, anche se il più delle volte rimangono ai limiti dell’anonimato, non hanno meno diritto di esser rappresentati di qualsiasi altra categoria economica del Paese.
DAVID DI DONATELLO: 77 SECONDI PER RICORDARE IL DRAMMA DELLE MAESTRANZE DISOCCUPATE PER IL CORONAVIRUS (ED È MEGLIO DI NIENTE)
77 secondi. Questo è il tempo che la cerimonia dei David di Donatello dedica alle maestranze della Settima Arte durante lo show dell’8 maggio. Il presentatore Carlo Conti esordisce così: «abbiamo visto già delle facce conosciute, ma dietro il mondo del cinema c’è Anna, Giovanni, Luca, Francesco, Elisabetta, Mario… chi sono? Ce lo spiegano gli attori.» e poi sono per l’appunto alcune facce note a farsi portavoce di chi voce non ha, chiedendo per loro un reddito di sostegno, la gestione speciale del fondo pensione, o ancora un contratto nazionale e la costituzione di un fondo di solidarietà per i lavoratori dello spettacolo.
Una parentesi meritoria, certo, che riecheggia nelle nebulose rassicurazioni a fine serata da parte del Ministro Franceschini, il quale ricorda il bonus dei 600€ (di marzo, ma di scorda di dirlo). Intanto però siamo a metà maggio, e quello che doveva essere il ‘decreto aprile’ ha cambiato nome già due volte nel sopraggiunto immobilismo di un Governo che invece, dopo la miopia collettiva del #milanononsiferma, si era inizialmente contraddistinto come uno dei più meritoriamente interventisti nell’epidemia di Coronavirus.
NON CI SONO SOLO REGISTI E ATTORI: AUTORI E CREATIVI CONTINUANO A RICEVERE UN TRATTAMENTO DI SERIE B
Il problema è che però non ci sono solo gli «attrici, attori, sarte, attrezzisti, macchinisti, elettricisti, autisti, operatori , parrucchieri, truccatori, microfonisti, segretari, aiuti e assistenti» che vengono citati (e che meriterebbero sempre più spazio) ma ci sono anche gli autori. I creativi. Quelli insostituibili. Quelli senza i quali i registi (che non a caso, in molti paesi, vengono definiti ‘direttori’) non potrebbero nulla. Chi col proprio contributo incide direttamente sull’opera d’arte. Autori della fotografia, montatori, scenografi, costumisti, truccatori, acconciatori, SFX e VFX artist, autori del suono, musicisti. E poi gli sceneggiatori, che per importanza dovrebbero essere quantomeno paragonati ai registi e che invece sono gli eterni snobbati. Hanno diritto a un breve video per il ringraziamento, che è più di quanto non sia toccato ad altri. Ma basta?
Le “voci dei David” vengono ascoltate nel momento sbagliato, e poi fatte restare in silenzio e senza volto nell’unico momento davvero importante.
Una bella iniziativa dell’era Detassis è infatti quella tutt’ora disponibile sul sito ufficiale, Le Voci dei David: dei video di 3 minuti che ci fanno conoscere i candidati. Un contentino, forse, eppure già qualcosa di importante. Ma nella cerimonia di premiazione, che – diciamocelo – è l’unica emanazione dei David con cui il pubblico entra in contatto, non un video-ringraziamento registrato (utile magari a contenere i tempi), non un collegamento in diretta streaming, addirittura non una foto mostrata al momento dell’annuncio del premio. Nella serata più importante per loro c’è spazio giusto per una menzione a tirar via.
Come se non bastasse poi, nel momento dell’in memoria (che qualcuno ha ritenuto di far accompagnare dal quantomeno beffardo commento musicale di La Vita è Bella), molti dei creatori di cinema che ci hanno lasciato sono solo nomi senza volto. Un trattamento di serie B su ogni fronte; non solo sui social – sarebbe il meno. E nessuno provasse a rispolverare la retorica del «lasciamo parlare il loro lavoro» con spezzoni di una manciata di secondi, perché non è più il tempo per il fumo negli occhi.
IL VERGOGNOSO TRATTAMENTO RISERVATO AL MIGLIOR FILM DOCUMENTARIO
Discorso a parte poi merita la categoria del documentario. È tra le poche ad essersi dimostrata sempre fertile e creativa anche negli ultimi anni bui del cinema italiano, eppure ancora una volta viene trattata come secondaria, vilipesa, umiliata. Al momento di premiare il miglior film della categoria, è subito chiaro che non c’è confronto con i film di finzione: se il miglior lungometraggio di fiction è il pezzo forte della cerimonia e tanto il miglior regista che il miglior regista emergente si guadagnano (giustamente) un bel collegamento in diretta streaming, per l’autore del miglior film documentario il benché minimo riconoscimento (oltre a una statuetta che ha il sapore di una medaglietta di cartone) rimane una chimera.
Anzi, molto peggio, perché non solo il cineasta premiato non ha un volto, ma è il film stesso ad essere ignorato: non una clip, non un manifesto, nemmeno un fotogramma. Un benservito in un paio di battute come se fosse una noiosa incombenza da sbrigare obtorto collo. E questo nonostante il film vincitore, Selfie di Agostino Ferrente, sia tra i nostri migliori film (tutti) del 2019, e nonostante adotti in modo quasi profetico quello sguardo ‘amatoriale’ cui ora siamo tutti costretti dal lock-down.
«Un modo per contenere i tempi e dare ritmo alla cerimonia», potrebbe provare a difendersi qualcuno. Ma il record negativo dell’8,4% di share parla chiaro, e se questa discutibile ricetta era mirata agli ascolti vuol dire che i David non sono capaci di intercettare non solo il pubblico generalista ma nemmeno il sentire di chi ama il cinema: siamo un punto sotto la replica di Scherzi a Parte e meno di un punto sopra un altro programma ben più di nicchia ma basato come i David sui collegamenti in streaming, Propaganda Live. Risultato disastroso.
NON C’È UN SOLO COLPEVOLE, MA DI CERTO NESSUNO HA ANCORA NEMMENO LONTANAMENTE INIZIATO A GUARIRE IL CINEMA ITALIANO
Non ha senso scaricare tutte le colpe sulla eccellente Piera Detassis, presidentessa e direttrice artistica dell’Accademia del Cinema Italiano dal dicembre 2017 e già presidentessa della Fondazione Cinema per Roma, sia chiaro. Le cerimonie dei David sono da sempre uno specchio del cinema italiano: un disastro in preda al caos più inconsapevole i cui responsabili si celebrano immotivatamente a vicenda. Il sistema di voto poi, prima della riforma operata dalla Detassis, privava il premio di ogni credibilità e prestigio.
Rimane però incredibile che, pur con tutte le difficoltà che immaginiamo dietro un’edizione così particolare ed emergenziale del premio, ancora si caschi su errori tanto grossolani. Ma d’altronde la Detassis stessa si impappina senza nemmeno correggersi nel momento in cui deve nominare il fortunatamente ignaro regista del miglior film straniero Parasite (biascica un poco convinto «Jong-ong-u» per Bong Joon-ho), quindi la maledizione dei David sembra non salvare proprio nessuno.
SIAMO STATI TUTTI TRADITI, ADESSO È IL MOMENTO DI CAMBIARE PROSPETTIVA
In conclusione, spenti i riflettori e archiviata anche quest’edizione, rimane solo una grande amarezza. Perché, dopo la festa sghemba di ieri e il flash mob svoltosi in contemporanea, che ha visto le sale accendere malinconicamente le proprie luci come disperato appello allo Stato, il bilancio che possiamo fare è molto poco consolatorio.
Mostrare i volti e raccontare le storie di chi ci fa sognare sul grande schermo, grande o piccolo che sia il suo contributo, è importante per rivelare che quel leviatano indistinto che semplifichiamo col nome di “Cinema” è un mosaico di individualità, visioni e talenti che ora, nel momento più difficile, si trovano nascosti dalla spersonalizzazione.
Va bene celebrarli con un premio, va bene qualche video su YouTube o un appello da parte di chi ha la fortuna della fama ma, finché il cambiamento non sarà radicale e sistemico, il settore continuerà ad esser vittima prima di tutti di se stesso. L’Accademia del Cinema Italiano, ora che è entrata in una nuova era, deve approfittare dei rinnovati vertici e del contesto di transizione storica per riscoprirsi assoluto garante e promotore di ogni figura della Settima Arte, anche e soprattutto in una serata di gala. E, dopo quella sera, per tutto il resto dell’anno.
Il pubblico lo sa quale straordinaria arte sia quella celebrata dai David di Donatello. Il pubblico è pronto; capisce e apprezza la fotografia, i costumi, gli effetti speciali e così via. E anche dove non sempre abbia contezza tecnica del lavoro di alcune professionalità, gode con inconsapevole trasporto di un montaggio magnetico o di un sonoro avvincente.
Non dimentichiamoci quindi di rendere davvero protagonisti gli artisti e i creativi, uno per uno. Non dimentichiamoci nemmeno le maestranze e, mentre siamo grati agli attori che ne sostengono la causa, diamo voce anche direttamente a loro, perché la fama è utile ma il pubblico ora è pronto a riconoscersi in quei nomi propri generici snocciolati da Conti.
Infine, non dimentichiamoci degli esercenti. Perché mentre lo streaming avanza (anche in forme solidali come quella ottima proposta da MioCinema) e iniziative meritevoli come Moviement Village provano a restituirci il film come esperienza collettiva, le serrande dei teatri rischiano di restare per sempre giù. E non solo per il Coronavirus, che è arrivato da una manciata di mesi, ma anche perché è ormai da decenni che il business del cinema italiano sta nei finanziamenti che precedono l’uscita in sala anziché nei dati del botteghino. Chi fa, chi diffonde e chi ama il cinema è stato tradito da molto tempo. L’industria ha perso ogni contatto con gli spettatori e con i creatori. Chiediamo che gli organi dirigenziali, di settore ma anche politici ed economici, approfittino del cambio di prospettiva per capire cosa impedisce quella rinascita con cui da anni ci si riempie inutilmente la bocca.