Arrivando all’ultimo degli otto episodi che compongono la prima stagione di Tales from the Loop diviene chiaro come il lavoro al quale si è assistito sia pregno del concetto di autorialità. Ci si avvicina alla serie originale Amazon con un interesse atipico che diviene a tratti timore, tanto i primi minuti di visione non muovano nessun passo nel tentativo di inclusione ma piuttosto vadano a prendersi, con il ritmo compassato che caratterizza ogni puntata, quel placido e verde campo sul quale tutto il racconto è srotolato man mano. Si intravede sin da subito quell’immaginario trasposto dalle splendide tavole dell’artista svedese Simon Stålenhag, monadi fatte mondo che dilagano nello schermo con la nostalgia di un futuro già passato dove Uomo e Macchina hanno i loro propri spazi.
Tales from the Loop: da Simon Stålenhag a Nathaniel Halpern
La mano di Nathaniel Halpern invece emerge poco a poco sotto la supervisione di Matt Reeves, tassello dopo tassello di una narrazione che il già autore di Legion decide di caricarsi interamente sulle proprie spalle e di impiantare in un pre-futuristico Ohio a cavallo tra indefiniti anni ’80 e ’90. E poi non molla più, intrecciando storie e vissuti in episodi dal carattere vagamente antologico ma che assumono senso e risonanza solamente se fruiti nella loro totalità, come parti di un mosaico dove ci si sposta dal centro agli estremi e poi di nuovo indietro, arrivando alla concordanza di ogni cellula che influenza, profondamente, ogni altra all’interno dell’organismo.
Come ci spiega il voice over di Jonathan Pryce, al centro del rurale crocevia di un’umanità viziata da alti e bassi c’è il Loop, una struttura sotterranea che accoglie un non meglio approfondito congegno in grado di influenzare le leggi delle materia e della non materia, trascinandosi dietro tutti coloro che ne incrociano il cammino. Tales from the Loop non vi darà mai delle risposte, ancor prima non va a porre nemmeno delle reali domande. Prende l’esistenza, la pone come fattuale, la stravolge e contorce con una considerazione altrettanto fattuale. Non si interessa alla conoscenza del perché gli uomini vivano a contatto con strutture monolitiche che si stagliano sullo sfondo, o del perché nei bordi delle immagini si muovano bizzarri ed indifferenti robot. È così, è l’espressione di una possibile realtà, così come lo è quella che pulsa nei lavori di Stålenhag.
C’è questo velo calato su ciò che ci scorre davanti che pare cristallizzare il tempo di quella provincia in un “battito di ciglia”, dove l’espressione stessa della temporalità è attraverso una esposizione degli spazi che durano e pre-esistono a prescindere di chi li popola. Il cambiamento, d’altronde, “fa parte della natura”, ma c’è qualcosa che sfugge a queste leggi e quindi persiste immutato e perenne in immagini di una purezza come difficilmente ne riuscirete a trovare in tempi recenti, acquerelli di un candore talmente malinconico da divenire a tratti straziante. Il mutamento comunque rimane, costante essenziale ma che sboccia nei fuoricampo dove torniamo a guardare quando le cose sono accadute, le foglie appassite e gli anni scivolati via.
Tales from the Loop è una serie che raggiunge picchi lirici che strappano le lacrime dagli occhi mentre strozza i singhiozzi in gola, dove spesso le ragioni del Loop sono “not fair” nella loro insondabile comprensione. Quella di Halpern è una poetica cucita sulla tela un piccolo tratto alla volta con un amore che non si interessa alla materia ma che lavora sul piano percettivo e sensoriale, spingendo a creare, immaginare, soffrire. In alcuni momenti questa si configura anche come la maggior debolezza della stagione, che trae la sua fibra contenutistica attingendo in tutto e per tutto dalla fantascienza classica e dai suoi tòpoi.
La serie TV di Amazon Prime Video tra fantascienza classica e purezza visiva
Non verrete mai posti di fronte a qualcosa della quale il vostro bacino conoscitivo non sia già cosciente, ritrovando, in tutto e per tutto, l’esplorazione di quei temi che abbiamo imparato ad assimilare a fondo da Asimov in poi (viaggio nel tempo, i doppi, i rapporti con la robotica). Certamente rimane la consapevolezza che il range d’azione di Tales from the Loop sia quello di cui abbiamo parlato fino ad ora, costruito su dissolvenze visive che dall’impressione retinica volgono ad un’amplificazione della sensibilità emotiva nei confronti di ciò che si sta vedendo e accogliendo dentro di sé.
Forse si sarebbe potuto far di più in alcuni frangenti, in particolar modo verso gli episodi conclusivi della stagione, dove a fronte di una qualità del racconto sempre eccelsa si percepisce un certo scarto nei riguardi delle altre monadi più forti e più brillanti. Ma la fibra della poetica dell’unico autore non ne esce scalfita nemmeno per un singolo istante, così lucida e consapevole del suo portato etereo da ammantare ogni cosa e permeare ogni sezione, fino a giungere alla chiusura (diretta da un’ottima Jodie Foster) talmente vivida da essere lacerante per l’animo.
Tales from the Loop è disponibile su Amazon Prime ed è certamente una delle serie TV del 2020 da vedere assolutamente.