Dopo una stagione d’esordio folgorante (tale da essere definito uno dei migliori prodotti televisivi degli ultimi anni) e una seconda annata non all’altezza della prima, Westworld, show ideato, scritto e prodotto a quattro mani da Jonathan Nolan (fratello minore di Christopher, già showrunner di Person of Interest) e da sua moglie Lisa Joy, giunge ad un terzo capitolo che cambia completamente le carte in tavola e alza la posta in gioco. Pur mantenendo lo stesso altissimo livello di produzione (messa in scena, recitazione, scelta delle musiche), Westworld di fatto smette di essere Westworld grazie ad un cambiamento di focus radicale che ne cambia il contesto, la struttura narrativa e le filosofie di fondo che da sempre caratterizzano l’essenza stessa della serie HBO trasmessa in Italia da Sky Atlantic.
Westworld 3 vede due importanti new entry, Aaron Paul e Vincent Cassel
Tutto riprende dalla rivolta delle attrazioni contro gli ospiti e dalla loro fuga dal parco a tema (siamo nell’anno 2054). L’ambizione di Dolores (Evan Rachel Wood) nelle prime due stagioni era quella di liberare dalla schiavitù i suoi compagni del parco di Westworld, mentre nella terza prende forma un vero e proprio piano per sabotare la razza umana. Folgorato dalla femme fatale c’è Caleb (l’Aaron Paul di Breaking Bad), un operaio edile nonché veterano di guerra costretto a sbarcare il lunario di tanto in tanto utilizzando un’applicazione che recluta manovalanza criminale. Ma, oltre a Dolores, spuntano qua e là vecchie conoscenze delle passate stagioni: Arnold/Bernard (Jeffrey Wright), William (Ed Harris), Maeve (Thandie Newton), Stubbs (Luke Hemsworth) e Charlotte (Tessa Thompson). Invece, insieme a Paul, la new entry più rilevante è Vincent Cassel nel ruolo di Serac, uno dei personaggi chiave che guida la narrazione della nuova stagione a capo di un progetto di ordinamento del mondo attraverso un’intelligenza artificiale totalizzante e totalitaria.
Fra spy-movie e legal thriller, Westworld muta la sua struttura narrativa
La prima cosa da evidenziare è la discontinuità del contesto in cui ci troviamo. In particolare è presente una tecnologia che, se nelle prime due stagioni era opaca e nascosta dalle sembianze dei parchi a tema, adesso è ostentata e parte stessa della narrazione: ologrammi, moto ed auto a guida intelligente, realtà aumentata, innesti bio-tecnologici, armi iper-futuristiche, droghe di nuova generazione. La nuova stagione svela la complessità computerizzata con cui si muove il mondo reale di Westworld, ma più che alla distopia di Black Mirror i riferimenti principali sono una fantascienza spesso patinata e atmosfere tipiche dei thriller di Michael Mann. È attraverso lo sguardo di Caleb che nei primi episodi attraversiamo il mondo iper-tecnologico della terza stagione con gli occhi di una classe operaia sofferente, esclusa e oppressa da una società tecnocratica. Insomma, di parchi a tema, fucili winchester e cavalli non ce n’è più traccia (a parte un loop storico in cui è imprigionata Maeve, ambientato in Italia durante l’occupazione nazifascista); il mondo di Westworld vive e prende forma in una post-modernità dall’impronta neo-noir, a metà tra lo spy movie e il legal thriller aziendale.
Un altro punto di rilevante diversità con le scorse stagioni è la struttura narrativa. Se nei primi due capitoli tutto girava splendidamente su multilivelli spazio-temporali (un po’ come le strutture dei videogames), qui Nolan e Joy hanno scelto di raccontare la storia in modo molto più diretto e, nonostante le speculazioni dei fan, questa volta è minimo il ricorso a timeline multiple, realtà speculari, tranelli o prospettive che depistano lo spettatore: quasi tutto quello che vediamo accade qui ed ora. Piuttosto che nelle ramificazioni di livelli, la terza stagione preferisce complicare il discorso seminando piccoli indizi che lentamente ci portano a conoscere le vere intenzioni che muovono i vari protagonisti. Dolores, Caleb, Arnold, Maeve: all’inizio ci sembrano tutti schegge impazzite ma solo con il passare degli episodi riusciamo a incasellare le spinte centripete, quasi riflettendo il tema principale ovvero il caos delle cose contro il suo ordine imposto.
Nella terza stagione di Westworld emergono tematiche etiche-filosofiche di grande attualità, dai big data alla perdita della privacy
Ed è qui che entriamo nella specificità di Westworld: l’armamentario filosofico che contraddistingue il suo racconto, la sua stratificazione di domande esistenziali, la sua ambizione di essere una riflessione sul rapporto fra l’uomo e il potere. Eppure anche su questo è interessante notare il salto di prospettiva fra questo capitolo e i precedenti. Mentre il filosofeggiare delle prime due stagioni era incentrato sulla natura delle attrazioni e il loro concetto di libertà, la terza si concentra sulla natura stessa dell’uomo, rivelando che il confine (già sottile) fra “attrazioni” ed “ospiti” è ormai scomparso.
Il mondo reale di Westworld non è tanto differente da quello dei parchi giochi che abbiamo imparato a conoscere, anzi. Scopriamo che lo stesso concetto di controllo diventa totalizzante, con le vite degli uomini costrette ad essere eterodirette da una raffinata Intelligenza Artificiale (Rehoboam) capace, a fin di bene, di calcolare e prevedere l’evoluzione di ogni singola esistenza umana e rendendo illusorio quello che conosciamo come libero arbitrio. Insomma, una sorta di deus ex machina computerizzato che rende il mondo una prigione tanto consolatoria quanto invisibile e che riecheggia per certi versi gli immaginari del Matrix delle sorelle Wachowski, e che non può non riportare alla mente il controllo operato dalle intelligenze artificiali proprio in Person of Interest.
L’attualissimo tema del rapporto tra sicurezza e controllo
Questa tematica in realtà si inserisce (forse inconsapevolmente) in un dibattito attualissimo, quello sul rapporto fra sicurezza e libertà. Dolores e Caleb rappresentano l’idea romantica di libertà mentre Serac e Maeve si schierano dalla parte della sicurezza creata dall’algoritmo di Rehoboam. Per dirla biblicamente: anche un paradiso artificiale come quello rappresentato dalla realtà di Westworld si ritrova ad avere i loro Adamo ed Eva (Caleb e Dolores appunto) che disobbediscono alle leggi imposte da un Dio tecnocratico e rivendicano il libero arbitrio. Il motivo ce lo ricordano le parole di Dolores: “anche nel disordine io ho scelto di vedere la bellezza”. Ecco, se è vero che la società può produrre caos e sofferenza, è altrettanto vero che la “bruttezza” è nella repressione della libera scelta, nell’imposizione di Serac di adattare ogni persona a un futuro predestinato. In poche parole, la terza stagione di Westworld si (e ci) domanda: a quanta libertà siamo disposti a rinunciare per vivere con più sicurezza? E ancora: siamo disposti a sacrificare la possibilità di scegliere come vivere per assicurarci un’esistenza migliore? Che questioni del genere siano messe sul tavolo al tempo della pandemia del Coronavirus è casuale ma decisamente appropriato.
Dopotutto mai come adesso la nostra società è vulnerabile ad un minaccia globale, quella del Covid-19, che influenza di fatto il nostro stesso stile di vita e le nostre libertà. Di contrappeso dovremmo fare i conti con politiche di tracciamento della cittadinanza per monitorare (ma anche prevedere) la diffusione del contagio raccogliendo dati dai nostri dispositivi per analizzare dove ci troviamo, dove stiamo andando e chi abbiamo incontrato. Insomma, è difficile non vedere similitudini fra le tensioni di questa terza stagione di Westworld e le conseguenze dell’epidemia da Coronavirus, incluso il dibattito sull’utilizzo dei nostri dati da parte dei governi. A ricordare bene non è nemmeno la prima volta che la serie incrocia questa idea della modernità come panopticon, perché già nella seconda stagione gli autori avevano suggerito una connessione tra i parchi della Delos e la raccolta di dati su Facebook. Con il tempo questo filo tematico ha lasciato spazio ad altro, ma adesso, dovendo fare a meno delle due grandi distrazioni narrative dei prime due serie (“cosa che è reale? / Quando è ora?”), Westworld affronta di petto il concetto di caos nella libertà, passando da un approccio filosofico ad uno più sociale e sociologico.
La totale fiducia di HBO in Westworld, rinnovata per una quarta stagione
HBO ha già rinnovato ufficialmente la serie per una quarta stagione (il progetto dovrebbe prevederne in tutto sei) e ciò che accade alla fine di quest’ultima ci suggerisce che la prossima annata approfondirà in modo ancora più esplosivo il destino del mondo reale e degli esseri umani, piuttosto che le attrazioni dei vecchi parchi Delos. La conferma è arrivata dalla dichiarazione di Casey Bloys, capo della programmazione del canale via cavo: “Dal parco a tema western fino alle metropoli tecnocratiche del futuro prossimo abbiamo gradito ogni singola evoluzione delle menti dei creatori della serie, Jonathan Nolan e Lisa Joy, e non vediamo l’ora di scoprire dove ci porterà la loro ispirazione“. Tradotto: possiamo permetterci di rischiare e investire molto su una serie “di qualità”, magari senza sapere nemmeno che direzione prenderà nelle sue prossime stagioni.
Dunque anche i fan più affezionati si dovranno arrendere all’idea che Westworld è destinata a mutare ulteriormente da come l’abbiamo conosciuta ormai 4 anni fa. Potrebbe essere la prima grande serie televisiva che scommette su una trasformazione così radicale e lontana dalle proprie origini. Ma se sarà una scommessa vincente questo sarà tutto da vedere.