Vi avvisiamo da subito che di Galveston andremo a parlare per lo più nei termini di tutto ciò che non ci è piaciuto. Il film che vede dietro la macchina da presa Mélanie Laurent (la Shosanna di Bastardi Senza Gloria) e porta la firma dello scrittore e sceneggiatore Nic Pizzolatto (seppur sotto lo pseudonimo Jim Hammett), svela tutto rapidamente e ancor più rapidamente mette in chiaro come non sappia sfruttare gli spunti alla base dello script. Il racconto è tratto da una novella omonima del creatore di True Detective (il cui smalto si è un po’ affievolito negli ultimi anni) e ci catapulta senza troppi fronzoli direttamente nella New Orleans della paludosa e torrida Louisiana.
Galveston è un film a cavallo tra road e redemption movie
Non ci piace, infatti, la maniera nella quale il film viene introdotto, con battute che sin dall’inizio compongono un puzzle di pezzi sbagliati incastrati a forza. Personaggi e motivazioni sono liquidati in brevi e confuse sequenze, senza concedere troppo spazio al background, con il dubbio intento di lasciare il campo a una sorta di road/redemption movie. In realtà, tra volti e nomi che Pizzolatto si augura sufficienti per strutturare caratteri e motivazioni, l’unico risultato è di spegnere da subito ogni interesse.
Non ci piace che Galveston rinunci a tutto questo in uno schiocco di dita, lasciandoci nella esclusiva e fastidiosa compagnia dei due protagonisti del racconto, il morente assassino su commissione Ben Foster (Hell or High Water) e la giovane escort Elle Fanning (The Neon Demon). Gli attori, dal canto loro, qualcosa ai propri ruoli provano anche ad apportarlo, nella speranza di poter sopperire alla brutale artificiosità che contraddistingue lo script, ma le briglie della sceneggiatura si fanno sentire molto più di quanto vorremmo e il loro viaggio della speranza verso la città texana del titolo cola a picco sotto il peso di banalità e cliché accumulati miglio dopo miglio. I due si incontrano in maniera casuale e anche l’intero arco di avvicinamento, basato su un gioco delle necessità (ovviamente), è messo su tra rivoli narrativi che, ancora una volta, fanno incastrare tutto assieme perché a comandare è la testardaggine.
La regia di Mélanie Laurent non sopperisce le mancanze dello script di Pizzolatto
Non ci piace nemmeno la regia del film, che a onor del vero manifesta un tentativo della Laurent di nobilitare la forma scritta in perenne affanno con un occhio registico forse eccessivamente scolastico, ma quantomeno più lucido rispetto a tutto il resto. Lo scarto però c’è ed è anche bello grosso, quindi risulta inevitabile la difficoltà della macchina da presa nello stare dietro a snodi raffazzonati e allungati con inserti che contribuiscono a decostruire il senso di una pellicola mortalmente sbiadita. Non arriva un aiuto nemmeno dalla fase di montaggio e quindi la volontà di portare su schermo una specie di poesia nera si perde in quella che è una bacinella piena di acqua sporca.
E in chiusura di questa breve lista dei non ci piace potremmo anche dire che non ci piacciono ellissi narrative spaziali e temporali raccolte nel giro di pochi minuti (il film dura nemmeno un’ora e mezza), oppure i ritorni di volti lasciati e dimenticati nei primi istanti di girato nel ruolo di deus ex machina (per di più inconcludenti), ma preferiamo fermarci qui. Galveston, girato nel 2018, arriva nelle nostre sale a partire dal 6 agosto grazie a Movies Inspired. Se non vale la pena di pagare il biglietto per il film in sé, vale magari la pena di farlo per supportare un distributore che – tra i pochi – sta facendo il possibile per portarci qualcosa di nuovo sul grande schermo nonostante il periodo.