Prima della release DVD e blu-ray con Koch Media e Lucky Red, il grande pubblico italiano riesce a entrare ufficialmente in contatto con Dogtooth di Yorgos Lanthimos solo nel 2020, quando la società di Andrea Occhipinti decide di distribuirlo in sala dal 27 agosto forse perché il lockdown per il Coronavirus ha reso il tema di una famiglia ‘prigioniera’ in casa propria più attuale che mai. Ma in realtà Kynodontas (questo il titolo originale), scioccante film greco del 2009 vincitore del premio Un Certain Regard a Cannes e candidato all’Oscar per il Miglior Film Straniero, è ben noto ai cinefili già da oltre un decennio. È infatti con questa pellicola che è nato il sodalizio che più ha segnato la cinematografia contemporanea: quello tra Lanthimos e il geniale sceneggiatore Efthymis Filippou, che proprio qui ha il suo folgorante debutto.
LA TRAMA DI DOGTOOTH (KYNODONTAS) DI YORGOS LANTHIMOS
Dogtooth mette in scena una storia che si consuma interamente in una spaziosa villa nella quale un padre (Christos Stergioglou) e una madre (Michele Valley) hanno cresciuto tre figli – ormai adulti – nella menzogna. In un delirio di iperprotezione, per tutta la vita i coniugi hanno raccontato al figlio (Hristos Passalis) e alle due ragazze (Angeliki Papoulia e Mary Tsoni, tragicamente morta nel 2017) che lo steccato del proprio giardino era un confine invalicabile, spingendosi oltre ogni limite per portare avanti l’inganno. Così l’intera esistenza dei giovani si è consumata senza mai conoscere il mondo esterno, con la promessa ingannevole che un giorno arriverà anche per loro il momento di avventurarsi oltre quella pericolosissima frontiera rappresentata dal cancello di casa.
LA BATTUTA MAL RIUSCITA DA CUI È NATO IL FILM E IL LEGAME CON BUÑUEL
La sceneggiatura di Dogtooth è un sottile incubo surrealista e Lanthimos racconta che l’idea del film sia nata quando una reazione oltremodo aggressiva a una sua battuta a due amici in procinto di sposarsi lo portò a chiedersi fin dove ci si possa spingere per proteggere la propria famiglia. In realtà il soggetto tanto semplice quanto geniale di Kynodontas nasconde un debito mai ammesso verso il pur inferiore El Castillo de la Pureza (1972) del messicano Arturo Ripstein. E non è un caso che Ripstein si sia formato come assistente alla regia di Luis Buñuel sul set de L’Angelo Sterminatore, capolavoro surrealista su un gruppo di borghesi che rimane metafisicamente prigioniero della propria lussuosa sala da pranzo.
DOGTOOTH È IL PROPOTIPO DELL’IDEA DI CINEMA DELLA COPPIA LANTHIMOS – FILIPPOU
Il duo composto da Yorgos Lanthimos e Efthymis Filippou ci ha regalato alcuni dei più straordinari film degli ultimi anni, da Alps a The Lobster fino al raffinatissimo Il Sacrificio del Cervo Sacro. È però sin dal loro primo sforzo comune che ritroviamo tutti quegli elementi che diventeranno il paradigma stesso di un’idea di cinema destinata a lasciare il segno.
In Dogtooth non viene mai spiegato perché il capofamiglia sia arrivato alla folle decisione da cui muove la storia (vi è al massimo qualche inaffidabile riferimento a un presunto quarto figlio), e in ciò ritroviamo una costante della scrittura di Filippou: calare i personaggi in un ecosistema narrativo fondato su regole diverse dalla realtà comune, disinteressandosi dalla loro origine ma volgendo la lente verso i loro effetti.
L’INELUDIBILE INFLUENZA DELLA TRAGEDIA GRECA NEI FILM DI LANTHIMOS
La sceneggiatura di Dogtooth è una macchina dalla forte vocazione teatrale, pesantemente debitrice di quella tragedia greca che nel suo La Cultura Greca e le Origini del Pensiero Europeo il grande filologo Bruno Snell elesse a fondamento nel nostro presente. Come nella polis classica l’intera comunità sospendeva la propria vita ordinaria per dedicarsi al rito catartico della messinscena, così gli script dei cineasti in questione sospendono il mondo cui siamo abituati per metterci in contatto con l’universale.
Abbiamo così un microcosmo domestico con le proprie assurde regole (Kynodontas), una società che esorcizza la morte attraverso la finzione (Alpeis), alberghi metafisici che ci trasformano in animali (The Lobster) o inesorabili morbi derivanti dalla maledizione (Il Sacrificio del Cervo Sacro, che è peraltro il libero adattamento della tragedia euripidea Ifigenia in Àulide).
La recitazione algida e meccanica degli interpreti, già esatta da Lanthimos nel suo precedente Kinetta, non fa poi che amplificare un senso di straniamento e ritualità che porta il film a trascendere il familiare e a sfociare nel perturbante.
DI COSA PARLA DOGTOOTH? IL PATTO SOCIALE CHE PARTE DALLA FAMIGLIA
Se la quarantena esperita nel 2020 non potrà che suscitare nello spettatore un infausto senso di risonanza, in realtà ogni altro accostamento all’epidemia di Covid-19 è solamente tangente. Questo perché Dogtooth, nel suo modo provocatorio e perverso, tratta il tema del patto sociale a ogni suo livello, raccontando su un piano letterale la famiglia e su un piano allegorico lo stato.
Più interessato a sollevare interrogativi che a dare confortanti risposte (sino al suo finale aperto), il film greco suscita una riflessione sul rapporto di controllo e fiducia tra l’autorità e chi vi è sottoposto. Siamo disposti ad accettare quel che ci dice il ‘padre di famiglia’ (lo Stato) nella convinzione che opererà nel nostro bene, ma quando viene a minarsi la fiducia nei suoi confronti si mette in moto una macchina distruttiva nella quale anche l’istinto di legittima ribellione finisce per avere un potenziale di pervertimento autolesionista. Così anche una ricerca della libertà può diventare un’altra gabbia, piccola e asfissiante come quella che chiude la pellicola.
APOLLINEO E DIONISICO: TRA PAROLE ‘BUGIARDE’ E LA COREOGRAFIA DI FLASHDANCE
In Dogtooth un ruolo straordinariamente importante viene riservato a un elemento chiave della tragedia greca: quella dualità tra apollineo e dionisiaco così finemente teorizzata dal grande filosofo Friedrich Wilhelm Nietzsche, illustre studioso della grecità classica. L’elemento razionale e positivo (quello riconducibile al dio Apollo) si riverbera nella parola intesa come convenzione, nella misura nella quale i genitori associano arbitrariamente significati e significanti per protrarre la propria menzogna grazie a una neolingua quasi Orwelliana; mentre la spinta verso la sfrenata istintualità (l’anima legata a Dioniso) ha un ovvio sfogo nell’erotismo ma raggiunge il suo apice in una memorabile scena di ballo sfrenato e febbrile, nel quale la coreografia di Maniac in Flashdance non solo assume un ruolo nella storia ma trasforma Angeliki Papoulia in una baccante.
LA SPIEGAZIONE DEL SIGNIFICATO DEL FINALE DI DOGTOOTH: UN FILM CORROSIVAMENTE POLITICO
Dogtooth, nel suo apparente racconto di una famiglia inconsapevolmente disfunzionale, è una straordinaria opera politica sull’inevitabile fallimento della società chiusa, nonché sull’ineludibile attrito tra la «necessaria oppressione» del diritto positivo e l’inestinguibile istinto primordiale. Ciò rende il film attualissimo non tanto per eventuali paragoni con la segregazione dovuta all’emergenza sanitaria della pandemia, quanto per inevitabili accostamenti con modelli di società autoritaria di matrice populista, che giustificano l’abuso con la protezione.
In questa cornice di buone intenzioni, manipolazione psicologica e pervertimento, Lanthimos non manca di inserire in filigrana un messaggio sul Cinema quale forza sovversiva, e quindi sull’artista quale agente di verità. Ci si abitua a ogni regola, buona o deleteria che sia, ma vi sarà sempre una soglia da oltrepassare, un picco che segna un punto di non ritorno. Nel caso del film di Yorgos Lanthimos, è un bisogno di autodeterminazione affilato come il canino di un cane difficile da addomesticare.