In Quo Vadis, Aida? vengono ad intrecciarsi in modo indissolubile le esigenze e gli istinti di una madre incastonata nel pieno dei fragili equilibri di una crisi umanitaria, in un’azione di contrasti che costituisce l’impalcatura di un gioco di chiaroscuri nei volti e nei corpi dei suoi interpreti.
Il film di Jasmila Žbanić, presentato nella selezione ufficiale del Festival di Venezia 2020, si colloca temporalmente a ridosso dei sanguinosi strascichi delle guerre di dissoluzione della Jugoslavia, e più precisamente nel mezzo della presa della città bosniaca di Srebrenica da parte dell’esercito serbo. Gli attriti in questione sono presto presentati, con i pedoni della scacchiera collocati uno ad uno nelle posizioni di stallo che partono dal considerare la vicinanza degli eventi di riferimento, nel tempo e nello spazio (siamo nel 1995), dove sin dalle prime battute la diplomazia pare aver già fallito e dove quest’ultima, forse, non ha davvero mai creduto nella possibilità della riuscita del proprio ruolo di mediazione.
Nel film di Jasmila Žbanić presentato a Venezia 77, Aida è un centro catalizzatore di umanità
Sullo sfondo dell’intervento internazionale dell’ONU chiamato a supervisionare la rovente situazione e apparentemente pronto a lanciare ultimatum infondati nei quali le catene di comando finiscono per arrovellarsi e perdere di fiducia nel ruolo affidatogli, l’unica vera protagonista è quell’Aida di cui il film porta il nome, nelle vesti della magnifica Jasna Đuričić che è centro catalizzatore di un’umanità così estremamente varia e polarizzata da fare un giro completo per poi tornare ad avvicinarsi, ipocritamente, a sé stessa.
È Aida punto di raccordo linguistico in una narrazione dove la lingua parlata costruisce traballanti torri di Babele e traccia confini forse inesistenti se non per chi vuole considerarli tali, interprete locale al servizio della base ONU dove sono stipate centinaia di persone in fuga dalla città messa a ferro e fuoco e con molte altre (durante le riprese sono state utilizzate circa 6000 comparse) in attesa di trovare rifugio in un luogo sicuro. Ancora è punto di raccordo nel suo spostarsi avanti e indietro all’interno della base (dove vai, Aida?), in un continuo impulso motorio che partendo dalle strette necessità del suo lavoro sposta l’attenzione e i bisogni nei confronti della cura di un nucleo familiare da portare in salvo, confinato lì fuori nel marasma della disperazione dei rifugiati.
La costruzione sui contrasti di Quo Vadis, Aida?
Si diceva appunto dei contrasti, dai volti puliti e pallidi dei giovani soldati olandesi dell’ONU che indossano canottiere e pantaloncini corti sopra le ginocchia, alla totalmente differente tempra dei militari serbi, nerboruti dallo sguardo maligno ed equipaggiati fino ai denti. E poi il generale a comando di quest’ultimi, che fa la sua apparizione quando i colpi sono stati già esplosi e le bombe fatte saltare in aria, nelle vesti cucite satiricamente addosso più dalle parti di una pop-star con il proprio fido cameraman costantemente al seguito più che nel ruolo di un reale condottiero militare, mentre dall’altra parte i capi preferiscono eclissarsi rifugiandosi in piccole stanze per scappare da una delegata e ingestibile responsabilità.
La Žbanić racchiude tutto questo sospendendolo a metà tra i composti e tremendamente lucidi prologo ed epilogo, teso nella vibrazione di un corpus centrale tanto statico nel suo essere costretto nei limitati confini della base, quanto esasperato nella drammaticità della rincorsa a una salvezza sperata ma il quale spazio risiede solamente in un sogno destinato a frantumarsi fatalmente nel confronto con la realtà degli eventi.