Zanka Contact deve il suo titolo all’omonimo stile di combattimento, spesso usato per le violenze di strada. Presentato nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia e reso disponibile in contemporanea in streaming su Festival Scope, il film di Ismaël el Iraki è un trionfo di citazioni e ispirazioni da opere alle quali il regista vorrebbe che la sua creatura somigliasse; anni di cinema occidentale si ritrovano in un’opera ambientata a Casablanca, nei locali e nelle strade della città marocchina. Zanka Contact parte benissimo – ma davvero benissimo – per poi spegnersi nei successivi e lunghissimi 125 minuti.
La trama di Zanka Contact
Rajae (Khansa Batma) è una giovane prostituta marocchina, sagace e apparentemente a suo agio col suo lavoro. Larsen (Ahmed Hammoud) è un ex rocker dipendente da eroina che vive in Inghilterra e ci viene introdotto mentre è torturato e minacciato da un gangster britannico a causa di un debito ingente. Larsen decide di viaggiare a Casablanca per scappare e, dopo essere riuscito a salire su una limousine con l’inganno, tampona la macchina su cui viaggia Rajae. Fra i due nascerà una storia d’amore che spingerà i due a fuggire da Casablanca per cercare una vita migliore insieme.
Zanka Contact è il sogno di un cinefilo
Zanka Contact è dichiaratamente una versione “marocchina” della storia d’amore fra Sailor e Lula di Cuore Selvaggio, ovvero Nicholas Cage e Laura Dern nel capolavoro di David Lynch che vinse la Palma d’Oro nel 1990. Il regista veste il protagonista, Larsen, con l’iconica giacca di pelle di serpente che il personaggio interpretato da Nicholas Cage definisce come “il simbolo della mia individualità e la mia fede nella libertà personale.”. Se Larsen è un personaggio lynchiano, Rajae ricorda una eroina da spy movie americano: è affascinante, intelligente, responsabile e capace.
L’opera di el Iraki è dunque un gigantesco contenitore pieno di suggestioni provenienti dai film che hanno inciso sull’educazione cinefila del regista. E il senso di Zanka Contact è di portare la storia del cinema di genere e di culto occidentale in una zona che di solito produce film politicamente più impegnati. Per questo motivo l’opera in questione è un unicum, un esempio di come il cinema di genere sia disponibile a essere costantemente reinventato, riscritto e interpretato.
Uno svolgimento confuso compromette il film nella seconda parte
La coppia protagonista di Zanka Contact funziona egregiamente, nel senso che i due sono personaggi universali, con il quale il grande pubblico può identificarsi: uno è una ex stella in rovina per la droga che vive di glorie passate, mentre l’altra è una ragazza ribelle che cerca di fuggire da un passato e da un presente opprimente. Il problema del film sta semmai nel suo svolgimento, lungo e lento in certi casi e confuso in diversi passaggi.
Inoltre, l’antagonista principale, il pappone Said, non è mai realmente convincente. Egli sembra in principio amorevole nei confronti delle sue ragazze – un po’ come lo erano i “pimp” di The Deuce – per poi rivelarsi possessivo, maschilista e patriarca, tanto da dividere le donne in due gruppi: “le vergini e le deflagrate”. Oltre a ciò, per tutto il corso del film egli non risulta mai una vera e propria minaccia, tanto che ad un certo punto sembra che i protagonisti non stiano quasi scappando da nessuno.
Alla fine Zanka Contact soffre di un eccesso di generi e di ambizioni di uno sceneggiatore che sembra aver paura di non poter fare un altro film e di conseguenza inserisce tutte le idee possibili all’interno dello stessa opera. La pellicola di El Iraki diventa dunque a conti fatti un musical, un melò, un thriller e un road movie tutti insieme, senza essere pienamente convincente. Zanka Contact, coproduzione franco-belga-marocchina, resta comunque un felice esempio di come un cinema diverso sia possibile per un territorio come quello africano.