Careless Crime (Jenayat-e Bi Deghat), nuovo film di Shahram Mokri presentato al Festival di Venezia 2020 in Orizzonti e disponibile in contemporanea in streaming sulla piattaforma online Festival Scope, segna il ritorno al Lido del regista iraniano, che 7 anni fa aveva vinto il premio per le i Contenuti Innovativi proprio nella sezione competitiva destinata alle opere prime e seconde con il suo Fish & Cat.
CARELESS CRIME E L’IRAN: TRA CINEMA E TEMPORALITÀ
Tra il 1978 e il 1979, durante la rivoluzione iraniana che portò al rovesciamento del regime monarchico e alla nascita della Repubblica islamica, non pochi furono gli sconvolgimenti e le sommosse messe in atto, fra cui un incendio appiccato nel cinema “Rex” nella città di Abadan come segno di protesta contro l’occidentalizzazione. In un intreccio che si sviluppa su più piani narrativi sovrapponendo storia cinematografica a vita reale, il film di Mokri recupera questi fatti storici e si focalizza su un gruppo di quattro uomini pronti a riproporre lo stesso evento incendiario, esattamente quarant’anni dopo, generando un meccanismo circolare, in cui passato e futuro si intersecano tragicamente nel presente.
IL FILM DI MOKRI COME DIFESA CULTURALE
Careless crime, che vede nel cast con Babak Karimi, Razieh Mansouri e Abolfazl Kahani, è un film che non vuole la commercializzazione feroce: è un film sulla Storia, sul conflitto culturale, ma anche sul cinema stesso e su ciò di cui esso si fa portatore in quanto arte. Il lavoro di Mokri parte con un intento storico-critico, da inchiesta, riproponendo la questione se gli eventi del cinema “Rex” fossero o meno preterintenzionali, come lascia intuire la stessa aggettivazione “careless” (preterintenzionale) presente nel titolo.
Dopo questa breve introduzione, tuttavia, il testo filmico si altera, si copre, si vela di altri eventi e significati. Passato e presente iniziano a riarticolarsi in una storia che muove orientando l’inizio con la fine e viceversa, seguendo un meccanismo in cui le sequenze della realtà storica vengono ricucite dal montaggio del film che vede nel cinema (in senso fisico e concettuale) il protagonista di un evento storico.
Il cinema si difende per proteggersi dalle contaminazioni, dalla capitalizzazione delle idee e dall’urto appiattente della globalizzazione e dei modelli dominanti. Per questo, il regista offre anche scorci di una realtà che non appartiene all’Occidente, di una cultura che chiude se stessa nella propria capsula temporale, seguendo un percorso di costruzione ed evoluzione storico-sociale parallelo a quello delle altre culture, astraendo – in senso universale – ogni nucleo etnico da forme del giudizio morale. Solo così è lasciata libera ogni etnia di vivere nel modo in cui crede e in cui vuole rappresentarsi; quello di Mokri è anche un inno a una cultura che vuole fermarsi, che non vive della frenetica e velocifera ritmica del progresso, e forse per rendere questa fissità incapsulata nel tempo al regista occorrono spesso inquadrature fisse.
Nel frattempo, la sala cinematografica, attraverso immagini che scorrono e un sonoro che ça parle, rivela un passaggio storico da un’epoca all’altra, di una sua riproposizione nella ricorsività della storia, intersecando le sequenze ora tratte dal mondo della vita, ora da quello cinematografico e stabilendo una dialettica (tramite il montaggio) che fonde la realtà con la sua rappresentazione, l’illusione con la realtà.
UNA DOPPIA MOSSA INDIPENDENTISTA
Il cinema “secondo Mokri” diventa strumento di quella querelle oziosa e ostica relativa all’etnocentrismo e alle supremazie culturali, facendo così avanzare lentamente l’idea del relativismo culturale e delle sue implicazioni etico-sociali; un relativismo che passa propriamente dall’espressione della cultura nelle sue varie forme. Quello stesso cinema segno del progresso, della forza dell’occidente, della libertà ideologica che deve essere fermato nella sua cavalcata di conquista. Il doppio movimento di Careless Crime si articola fra la difesa del cinema in quanto arte o espressione di libertà assoluta e quella del cinema come espressione di un culturale, di una forma mentis che non vuole essere schiacciato dalla maggioranza del mercato, lanciando così una doppia mossa indipendentista.
Mokri raggiunge il suo fine: il cinema iraniano si difende dall’altro e presenta se stesso come alterità che mostra una realtà diversa, che reclama il diritto di raccontarsi con i propri limiti, con i propri mezzi, con i propri scopi.
IL RITORNO DELLA STORIA
Così, la scena pseudo-onirica del finale – una sorta di nonsense da inconscio di stampo lynchiano – fonde visioni irreali e accadimenti storici, mostrando forme, simboli, strutture. Si assiste al moto lineare di una cometa infuocata che muove da sinistra a destra, vagamente evocativa di quella tratta aerea dell’11 settembre 2001 che ha definitivamente modificato gli equilibri tra oriente e occidente, generando un evento dalla immensa potenza simbolica, destinato a cambiare gli equilibri e i rapporti tra due mondi. Proprio di questa relazione, di questa interconnessione fra blocchi politico-culturali la struttura narrativa si fa carico, così tanto elegantemente disarmonica e funzionalmente intrecciata da riuscire a riportare il futuro al passato.