Tra i film presentati nel concorso di Orizzonti al Festival di Venezia 2020 c’è anche Milestone (titolo originale Meel Patthar), racconto dal regista Ivan Ayr che è anche sceneggiatore assieme a Neel Mani Kant, sullo sfondo di un’India dei giorni d’oggi che avanza e dove gli scontri tra i gradini più bassi della piramide si acuiscono nella crescente disparità sociale.
L’India a bordo di un camion nel film di Ivan Ayr
Ghalib, il sorprendente Suvinder Pal Vicky, è un autista di camion che ha da poco raggiunto l’incredibile record delle cinquecentomila miglia percorse dietro al volante per conto della sua azienda. Il prezzo da pagare è quello di un intenso mal di schiena che lo colpisce durante il piano sequenza iniziale del film, leitmotiv che calca e pressa fisicamente un protagonista che l’attività nebulosa per la quale lavora tenta di rimpiazzare affidandogli un giovane da addestrare al lavoro alla guida.
Milestone è tenuto assieme tutto dalla sua natura erratica, in un pendolo che oscilla tra i bassifondi di città caotiche e stracolme di rifiuti e i villaggi immersi nell’entroterra dai quali Ghalib proviene e dove, forse, ha un conto in sospeso con un passato che avvolgerà l’inizio e la fine della sua parabola. «Non so più nemmeno dove abito» è l’affermazione di un uomo teso tra una vedovanza lasciata ai bordi del film e una sorta di rapporto da figura paterna non voluto perché dal sapore patricida, al quale è chiamato suo malgrado e che subirà lasciando come terreno di mezzo, di sicuro approdo al quale rimanere aggrappati, proprio quel camion che rappresenta il sigillo di una chiamata allo stare in movimento e, in questo, la certezza di una stabilità nel mondo.
Milestone e i conti in sospeso del suo protagonista
Ivan Ayr mira con la propria regia sull’interrompere il meno possibile i flussi di un’azione che spesso si adagia in piani sequenza lunghi ed estesi, scaturiti da una macchina da presa che scruta dalla sicurezza del rimanere dentro l’abitacolo o che scende a sporcarsi di terra a ridosso degli pneumatici che lasciano trasparire tutta la pesantezza di un corpo-macchina come quello del camion che è l’altro grande protagonista della pellicola.
Nel suo muoversi avanti e indietro, a Milestone può essere probabilmente appuntata una eccessiva volontà di volere andare ad accarezzare troppi temi ai quali non riesce a conferire l’adeguato spazio nel corso della sua ora e mezza di durata, trovandoseli tra i piedi un po’ tutti insieme e quindi nella posizione di doverli scansare ai margini creando un corollario di situazioni e motivazioni che rimangono, nonostante tutto, ben identificate sulle spalle incurvate del suo ottimo interprete principale.