The Devil All the Time è il nuovo drama-thriller di Antonio Campos, distribuito su Netflix in Italia con il titolo Le Strade del Male. Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Donald Ray Pollock, è interpretato da un cast corale che conta Tom Holland, Bill Skarsgård (It), Riley Keough, Jason Clarke, Harry Melling (Harry Potter, Waiting for the Barbarians), Mia Wasikowska e Robert Pattinson (The Lighthouse). Dopo i lungometraggi Afterschool (2008), Simon Killer (2012) e Christine (2016), il primo presentato a Cannes, il terzo andato in concorso per il Sundance Film Festival del 2016, Antonio Campos torna con una nuova opera, scommettendo su un’ottima e ben intrecciata storia.
Storie perverse che si intrecciano ne Le Strade del Male
La narrazione, accompagnata da una voce fuori campo, si sviluppa in un arco di tempo che muove dal 1945 al 1965. La struttura dello script – nonostante segua linearmente la tragica storia del giovane Arvin (Tom Holland) e delle traumatiche vicissitudini della sua famiglia – vede l’intrecciarsi di diverse storie: da quella della coppia di serial killer Carl e Sandy Henderson (Jason Clarke, Riley Keough) a quella del perverso reverendo Preston Teagardin (Robert Pattinson). Storie differenti, destinate a intrecciarsi tra depravazione, fede e sangue sullo sfondo di un’America dai labili confini morali.
In The Devil All The Time il pastore americano e l’America oltre i simboli
Seppure il film non ricerchi uno stile nuovo né sofisticato, mostra una mano di regia esperta e uno script potente; così, quella di Campos, si configura come una scommessa vincente. Sarà per assonanza linguistico-concettuale – perché ricorrente è il tema della fede e ricorrente è la presenza della figura del pastore -, ma il rimando ad American Pastoral è immediato, così come il ritorno di quelle parole da crudo realismo del romanzo di Roth che recitano: “La figlia che lo sbalza dalla tanto desiderata pastorale americana e lo proietta in tutto ciò che è la sua antitesi e il suo nemico, nel furore, nella violenza e nella disperazione della contro-pastorale: nell’innata rabbia cieca dell’America”. Questa è l’America de Le Strade del Male, di Pollock, di Roth e adesso anche di Campos: nel sogno americano si può essere uguali ma solo nelle rappresentazioni simboliche, mentre le idiosincrasie delle soggettività sono la verità oltre l’apparenza. Questa è l’America reale, quella di un sogno infranto se osservata al microscopio, nelle pieghe minuziose dell’esistenza dei suoi abitanti. Città sotto le città, storie sotto le storie, verità sotto i simboli; proprio come a suo tempo aveva saputo fare – anche se con i suoi limiti – Suburbicon (2017) di Clooney, con lo splendido soggetto dei Coen. L’America vive di simboli politici, religiosi, di messaggi e slogan, ma questi non fanno altro che semplificare una complessità che rimane fortunatamente e tragicamente tale.
Fede, sangue, scandalo e paradosso
In Le strade del male, il tema della fede e della religiosità perversa diventa essenziale, in quanto metafora evidente dell’ipocrisia della civiltà, articolandosi nella forma del kantiano “pretume”. Si crea, così, un rapporto intenso fra salvezza, fede, espiazione, senso di colpa e violenza. Il trauma si combina con il delirio, quando uno dei primi atti simbolici, apparentemente insensati, è compiuto dal padre di Arvin, William Russell (Bill Skarsgård) come gesto di espiazione: il sacrificio dell’amato cagnolino di famiglia, per ottenere da Dio la salvezza di sua moglie. Una scena icastica, che rievoca l’atto di fede delirante, della religione come scandalo e paradosso, del sacrificio come limite tra fede e follia. Qui è messa in scena l’apoteosi del rito che mira a riequilibrare l’ordine, allo stesso tempo dando origine alla colpa del padre, di cui Arvin Russell si farà portatore per tutto il tempo della sua narrazione, affermazione suprema della trasversalità diacronica del male, come rievoca il titolo originale.
Il capovolgimento dell’iconografia sacra come essenza del film
Dunque, la sceneggiatura – firmata da Antonio e Paulo Campos – è il vero punto di forza del film, unita all’accurata selezione del cast che lavora bene su personaggi estremamente complessi. Le espressioni stranite di Tom Holland, così come quelle dell’allampanato Harry Melling, insieme alla tacita depravazione che si legge nel volto beffardo di Robert Pattinson, sono coloriture essenziali che creano personaggi densi e stratificati. Eppure, il vero protagonista è quello che si aggira sottilmente fra le storie; un protagonista che non ha una forma propria, ma che s’incarna nei diversi personaggi; un protagonista quasi mai citato, ma tanto evidente e banale da non emergere esplicitamente: il male. Quello rappresentato da Campos è un male particolare, che nasce da una depravazione del bene, qui simbolizzato dal “malincrocifisso” costruito da William Russell a inizio film.
Il male, ovunque e sempre
Le Strade del Male è un crocevia di morte, un gioco in cui l’omicidio schiaccia l’omicidio, in cui il male annichilisce il male, in un vortice di violenza inesauribile. E di violenza in violenza le strade del diavolo si moltiplicano, il pericolo cresce in forma esponenziale, mentre il mondo si cosparge di un orrore trasmesso quasi in forma ereditaria. La fede diventa allora l’unico strumento di accettazione dell’imponderabilità, dell’esistenza del male e delle sue varie forme, ancora qui riassunte sotto l’unico simbolo del “diavolo”. Per evadere da questa terribile necessità esistenziale, l’appello a un credo religioso è l’atto simbolico fondamentale che ricuce lo squarcio del reale, nonché unico strumento che l’uomo comune possiede (il crocifisso di William, la sepoltura data da Arvin al proprio cane, le ritualità religiose della piccola comunità). Su questo percorso si snoda Le Strade del Male, nella discrepanza fra apparenza e verità, sul quel crinale dove si palesa l’ipocrisia e di cui la religiosità ambiguamente diventa emblema, infatti – come si diceva – essa è anche intesa come palliativo contro il dolore del Reale. Nelle strade del male si articolano le storie, esse scorrono su percorsi paralleli per poi incrociarsi. Proprio qui, nei crocevia, la posta in gioco è il destino morale dell’uomo, qualunque sia la scelta, qualunque sia la strada, perché ovunque essa porti celerà sempre il pericolo del male.