La regista sudcoreana Yoon Dan-bi iniziò a realizzare Moving On – presentato nel Concorso Torino 38 all’edizione tutta in streaming del Torino Film Festival 2020 – senza grandi aspettative: faceva parte del il suo progetto di laurea presso la Graduate School of Cinematic Content della Dankook University. Eppure, già dalla sua anteprima al Busan International Film Festival nell’ottobre 2019, questa opera prima emerse come la rivelazione di un grande talento, tanto da portarsi a casa ben quattro premi: il Directors ‘Guild of Korea Award, il NETPAC Award, il KTH Award e il Citizen Critics ‘Award. Non solo: dopo aver conquistato anche il Bright Future all’International Film Festival di Rotterdam, Moving On ha avuto così grande successo in patria da essere stato in lizza fino all’ultimo per rappresentare la Sud Corea ai prossimi Academy Awards.
Moving On: la storia di una famiglia allargata
Tutto questo nonostante il film racconti una vicenda familiare più che ordinaria: quella dell’adolescente Okju (Choi Jung-un) che, in seguito alla separazione dei suoi genitori, è costretta a lasciare il suo appartamento e trasferirsi, con il padre (Yang Heung-ju) e il fratellino Dongju (Park Seung-jun), nella casa del nonno (Kim Sang-dong). Mentre il padre cerca di fare soldi vendendo scarpe (con scarso successo), i bambini rimangono a casa durante le vacanze estive e si prendono cura di un nonno non più lucidissimo. Poco dopo, anche la zia dei ragazzi (sorella del padre) si trasferisce nella casa, anticamera di un altro divorzio. Mentre i bambini iniziano lentamente ad adattarsi alla nuova casa e ai tanti coinquilini, la salute cagionevole del nonno costringe le due generazioni più giovani (padre, zia, figlio e figlia) a prendere alcune decisioni difficili che riguardando il loro futuro, quello del nonno e quello della casa che condividono.
Nel film coreano di Yoon Dan-bi l’eco del giapponese Kore’eda
Dunque tre generazioni sotto lo stesso tetto: una forma di convivenza che un tempo era uno standard, in Moving On pare una cosa inedita e mostra soprattutto quanto possa essere complicato intrecciare un rapporto trasparente e solido, alternando alla vicinanza obbligata dei conviventi una serie piccole tensioni quotidiane e momenti di incomunicabilità. Il tutto è visto con gli occhi della giovane Okju (l’esordiente Choi Jung-un è un talento fenomenale) che nel frattempo affronta tutti i problemi annessi e connessi ai primi amori dell’adolescenza, aggiungendo una nota di coming-of-age a tutta la narrazione.
Ma la verità è che siamo nei dintorni dei microcosmi di Hirokazu Kore’eda: allo stesso modo, Yoon Dan-bi prova a esplorare il significato contemporaneo di famiglia in tutta la sua forza e in tutta la sua debolezza e, in ogni caso, raccontandola come punto di riferimento di una società con sempre meno certezze. Un nucleo familiare non solo come qualcosa che costituisce un passaggio fondamentale per formare il carattere nelle giovani generazioni a cui gli anziani trasmettono tradizioni e saggezza; ma anche e soprattutto come centro di gravità per chiunque ne faccia parte, dove ognuno trova supporto e crescita nell’altro.
In Moving On distacco e intimità
Ciò che sorprende però di Moving On è l’approccio curatissimo della messa in scena. Macchina fissa, campi medi o lunghi (mai primi piani), lunghe sequenze che avanzano come una serie ritratti sofisticati ma spontanei in cui ogni inquadratura riesce a trasmettere più di quello che fa realmente vedere, anche grazie alla bella fotografia di Kim Gi-hyeo e alla sua palette di colori virati ad un rosso nostalgico e dolceamaro. Ma è il contrasto tra la vicinanza che sperimentano i congiunti nella casa del nonno e la distanza fisica che la macchina da presa mantiene da loro il vero motivo che ci consente di essere lì con loro senza irrompere in quella intimità.
Un distacco quasi necessario per farci innamorare di ogni scorcio di quel piccolo mondo che intravediamo: che a farla da padrone sia la tragedia, il dramma o persino la commedia. A metà film siamo così immersi in questa narrazione che ci accorgiamo di conoscere tanto bene quella famiglia quasi come fosse la nostra e perfino quella casa diventa, di stanza in stanza, qualcosa di familiare, uno spazio in cui anche noi finiamo per abitare: il che ci fa pensare che essa stessa sia diventata un personaggio del film, spaziosa ma al tempo stesso soffocante, un po’ come la famiglia raccontata dalla pellicola.
Ecco perché, nella sua semplice contemplazione di una vicenda quotidiana, Moving On è un film che sorprende. Un racconto sudcoreano di un tradizionale nucleo familiare sudcoreano ma che per stile e contenuti ha un fascino universale ed è capace parlare in realtà a tutte le culture e le famiglie del mondo. Con scene memorabili che inteneriscono e divertono, intrattengono e commuovono. E costringono a fare i conti con quello che di cui alla fine tutti facciamo parte. A guardare indietro, uno dei più bei film che abbiamo visto in questo 2020 e senza dubbio uno dei debutti più promettenti degli ultimi anni.