Dalla piccola isola di Taiwan arriva il film di esordio di Lu Mian Mian, un docile coming of age che emerge piuttosto timidamente all’ombra dell’ingombrante colosso cinese, ma che accarezza in maniera interessante la sua protagonista sospesa a cavallo di due mondi di disillusione.
I due mondi di Mickey on the Road
Ed è su questo flebile ponte tra il piccolo cosmo dell’isola e la grande urbanizzazione del continente che si rannicchiano assieme i due poli estremamente differenti di Mickey (Pao-Wen Yeh) e Gin Gin (Ya-Ling Chang), amiche per la pelle nonostante caratterialmente distanti anni luce. Gin Gin risponde con impulsività agli stimoli di una Taiwan pervasa da sfumature cromatiche al neon e musica a volume altissimo, lavorando come ballerina in una discoteca dove incarna l’abbaglio di un progresso che ha l’aspetto della perversione mentre affonda come una lama nel cuore di un tessuto culturale tradizionalista.
Tradizionalismo nel quale invece affoga la riflessiva Mickey, nel taciturno tentativo di governarlo e plasmarlo riconvertendone i dogmi che lo caratterizzano e che alla luce di quel cacofonico progresso che le è affianco nel corpo di Gin Gin risulta ancor di più venato da un tragicomico anacronismo. Per questo si avvicina alle arti marziali del tempio, riservate agli uomini, espressione della ricerca di un rigore interiore dal quale il femminile è escluso, e forse per questo indossa con fierezza il tatuaggio di un gufo che le ricopre (con stupore di qualcuno, ancora, uomo) gran parte del petto.
E l’on the road di Mickey, compiuto più nello spirito interiore che nell’effettivo viaggio fisico che pure c’è e taglia trasversalmente il film, scaturisce sui toni di un degrado sociale che permea a partire dal disequilibrio di un focolare familiare spento perché privato del pilastro del padre, dell’orizzonte maschile che è cardine di quel tradizionalismo patriarcale di cui si diceva prima che però si sottrae, e lascia nel cortocircuito un sistema rigido e apparentemente immutabile.
Mickey on the Road è un coming of age tra ricerca culturale e identitaria
Persiste quindi lo stare a cavallo tra le due sponde che entrano a contatto ma si privano a vicenda di elementi portanti non arrivando mai a una feconda mescola identitaria, che nella figura di Mickey si accosta anche alle difficoltà del gender (lasciate latenti ma non secondarie), della confusione del sentirsi qualcosa ed essere trattato come altro. Il film di Mian Mian sorprende nel saper individuare queste coordinate in maniera lucida pur trattandosi di un primo approccio alla regia (e alla sceneggiatura) di un lungometraggio, tradendo però l’inesperienza nel momento in cui paga un eccessivo abbassamento del ritmo centrale dove l’intervento della macchina da presa è timido e non sempre pronto allo star dietro al connubio del vortice Gin Gin e della quiete-prima-della-tempesta Mickey.
La regista non afferra nemmeno in pieno il senso di spaesamento di personaggi talvolta più contemplati dall’obiettivo che davvero posti al centro di un’indagine sull’essenza della loro disperata incompiutezza, pesci fuori dall’acqua tra i caleidoscopici palazzi della metropoli cinese Guangzhou celere a inghiottirli con una facilità incidentale forse troppo conveniente in alcuni snodi del racconto.
Sotto le imperfezioni di un’autrice che sarà interessante seguire nel suo avvenire, di Mickey on the Road resta la genuinità di una disamina sull’appartenenza e sullo spezzarsi dell’equilibrio imposto che si sgretola al contatto con un passaggio dei tempi repentino e talvolta spietato, destinato a essere scrollato di dosso con un colpo inferto all’origine della caduta delle illusioni per lasciare spazio a una nuova stabilità, a quel ponte a metà che è una nuova e fertile terra.