This is My Desire – titolo originale Eyimofe – è il lungometraggio co-diretto da Arie e Chuko Esiri, qui al loro debutto. Il film è il prodotto di una Nollywood che si mostra cinematograficamente costruttiva e proficua, mettendo in campo attori emergenti come Jude Akuwudike, Temi Ami-Williams e Cynthia Ebijie. L’opera degli Esiri è stata presentata nel Concorso Torino 38 al Torino Film Festival 2020 – edizione tutta in streaming.
THIS IS MY DESIRE (EYIMOFE), IL DRAMMA MULTILINEARE AMBIENTATO IN NIGERIA
Lo script – di Chuko Esiri – segue due storie parallele sullo sfondo di una caotica e stratifica Lagos, in Nigeria. Mofe (Jude Akuwudike) e Rosa (Temi Ami-Williams) vivono in condizioni socio-economiche di ristrettezza, obbligati a responsabilità etiche stringenti – il carico dei funerali della sorella per il primo, la cura della giovane sorella in cinta per la seconda – che li obbliga all’impossibilità di realizzare il loro desiderio di evasione in Spagna e in Italia. In un movimento slogato fra gli spazi sociali di una Lagos disomogenea, le due narrazioni condividono lo sfondo tematico dell’indigenza e della sofferenza.
IL FILM DEI FRATELLI ESIRI È UNA STORIA DI DISAGIO CHE SFIDA LO SPETTATORE
This is My Desire (Eyimofe) disturba nello stile di vita tragico dei protagonisti, fatto di disordine e malessere; nello squilibrio degli spazi di una città socialmente divisa. Disturba anche nel decadimento di un’esistenza senza riscatto, così contrastante con l’utopia e l’idillio dell’imperante sogno americano. I fratelli Esiri mirano evidentemente alla ricerca del disagio, mostrando una realtà celata, riconducendo così il lavoro di regia ai suoi intenti più nobili. Infatti, l’immagine torna a essere pienamente specchio di una realtà che l’occhio non vede, superando non solo i limiti percettivi, ma anche culturali e concettuali. L’obiettivo della telecamera entra nei mondi possibili, reali, alternativi, disorganizzati, proprio come quel groviglio di fili elettrici scoperti nella sequenza di apertura, e che Mofe incautamente maneggia per avviare il rullo della fabbrica in cui lavora.
VITE A LIMITE IN THIS IS MY DESIRE (EYIMOFE): TRA PECORSI KAFKIANI E PRIGIONIA MORALE
I due personaggi vivono esistenze al limite della tollerabilità, sopportando in silenzio, soffocando le ambizioni e, nonostante una vita di essenzialità e stenti, si fanno eticamente carico di chi mostra ancora più debolezza. Nella storia di apertura, quella di Mofe, affiora una prima condizione di minoranza, quella di un diritto negato: non c’è ombra di sicurezza o stabilità, ma solo una lotta eterna che rimane sul livello di un’umanità solitaria. Di fronte all’obbligazione morale dei protagonisti nei confronti dei loro congiunti, i sogni si infrangono mentre i risparmi economici – frutto di un sudore amaro – vengono spesi per far fronte alle esigenze delle persone amate. Così, i fratelli Esiri riescono a fare della coscienza morale una prigione e, al contempo, una possibilità di riscatto. Tutto questo, mentre Mofe lotta e vive una situazione kafkiana: tra processi burocratici e linguaggi a lui incomprensibili. Questa è anche la situazione di Rosa che subisce un processo all’esistenza in un movimento senza fine, diventando protagonista inerme e inconsapevole di eventi fuori dalla sua portata.
L’OPERA PRIMA DEI FRATELLI ESIRI COME DISTOPIA INVERSA
Le condizioni di lavoro a cui sono sottoposti i protagonisti non è un contesto retrò, ma presente e veritiero. Una condizione pesante che rievoca un proto-capitalismo che reclama la vita dell’operaio sfruttato e alienato, contrattando molto lavoro per pochi guadagni. Nella sincronia della contemporaneità, This is My Desire (Eyimofe) opera un salto temporale nel presente stesso, mostrando disomogeneità sociali ed economiche ma senza utilizzare una retorica esplicita. Il lungometraggio degli Esiri è un’opera prima che non inventa ma rappresenta, evidenziando una distopia reale e inversa, che torna indietro nella storia pur rimanendo radicata nel presente.
UN FILM DI DEBUTTO DALLE AMBIZIONI ‘NEOREALISTE’
Così, gli esordienti registi utilizzano un linguaggio limpido e coerente, arricchito da una fotografia atta a ritrarre le forme di un’esistenza lontanissima dagli agi occidentali. Una grammatica di regia base, efficace e senza grosse pretese, che non combina disordinatamente forme di cinema e di cultura differenziate. Per questo, lo stile di This is My Desire (Eyimofe) conferisce uno spazio e un tempo giusto, quello dovuto a una rappresentazione filmica pseudo-naturalistica. Una produzione che non ha bisogno di spendere un grosso budget per scenografie ricercate o sofisticate. Arie e Chuko Esiri, di fatto, non cercano storie mai esistite, ma osano una spietata rappresentazione neo-realista.
LE STORIE DI DISAGIO SOCIALE E L’ANTI-RETORICA DEI FRATELLI ESIRI
This is My Desire (Eyimofe) non è un film che soffre di sindrome da vittimismo. Non è un film che elemosina empatia rappresentando delle situazioni-limite. Il lungometraggio presentato al Torino Film Festival è semplicemente un film sulla realtà, su quella nascosta, spesso non vista per eccesso di quel bigottismo che genera miopia sociale. Non c’è l’intento di una denuncia aperta, quello degli Esiri non è un manifesto politico-sociale. This is My Desire, anzi, è una storia che mostra da sé il senso della disuguaglianza, della sopportazione silenziosa su cui si gioca il senso della resistenza ma anche della resa. La reiterazione del vincolo opposto al desiderio di evasione, lentamente fa sì che la realtà prosciughi il vigore del sogno, costringendo a un ritorno sulla concretezza che, nel caso di Mofe e Rosa, si presenta come accettazione di una tragica permanenza in Lagos, una città distopicamente anti-onirica.