La Danimarca ci ha regalato alcuni tra i più grandi registi del cinema contemporaneo, e nonostante il nome di Jens Dahl non sia certo tra i più noti, questa meteora che ha (miracolosamente?) solcato il cielo del Sundance con un corto nel 2013 ora si adopera con l’eroismo di un titano per dimostrare al mondo con tutte le proprie forze che anche la terra danese può partorire shooter di un’insignificatività disarmante. Il nuovo film di Dahl presentato al Torino Film Festival 2020 nella sezione Le Stanze di Rol, Breeder, proprio come il suo regista e la sua sceneggiatrice Sissel Dalsgaard Thomsen sembra infatti non avere assolutamente nulla da dire, non appigliarsi a mezza idea e non proporre nemmeno un tentativo di script sensato. Eppure ci mette un’ora e tre quarti della nostra vita per farlo.
BREEDER: AL TORINO FILM FESTIVAL 2020 UN FILM HORROR SUL BIOHACKING
La vecchiaia è una malattia mortale che può e deve essere curata: è da questo spunto dal grande potenziale che parte Breeder, ambientato in una contemporaneità che all’inizio ha le atmosfere sofisticate di una realtà alto borghese. Il film infatti ci cala nelle tensioni tra una madre e un figlio, lei direttrice di un progetto di ricerca genetica per la company presieduta da lui. Gli screzi, di natura morale e strategica, hanno a che fare con un miracoloso farmaco in grado di arrestare e invertire il processo di invecchiamento. I primi venti minuti di film, a dire il vero, promettono piuttosto bene.
BREEDER VORREBBE TURBARE CON LA VIOLENZA, MA È TROPPO PIATTO PER RIUSCIRCI
Se le premesse per un thriller/drama fantascientifico alla Black Mirror ci sono tutte, i piani che ha Dahl sono ben altri e presto – senza alcun senso logico – veniamo guidati da una svolta a U in un prison movie/torture horror incentrato sulle violenze, gli esperimenti e le umiliazioni cui vengono sottoposte delle giovani ragazze rapite per sopperire all’assenza di volontarie. Ora che un accenno di costruzione dei personaggi è stato demolito all’insegna di antagonisti tanto immorali, sadici e malvagi da risultare macchiettistici, è un attimo che finiamo per ritrovare imprigionata anche la compagna del protagonista – altra svolta narrativa che sembra battuta a macchina da scimmie ammaestrate (male) e bendate. Durante la visione tornerete a pensare più volte a Black Mirror, ma nel senso che valuterete di spegnere lo schermo.
Breeder non sa cosa vuole essere: a predominare su ogni altro aspetto è un’imbarazzante incertezza di tono, atmosfere, tempi, linguaggio e tematiche. Alcuni film possono essere cangianti e stupire lo spettatore con improvvisi cambi di pelle. Questo sa solo tentarci a cambiare film e puntare su altro nel bel mezzo della nient’affatto appassionante visione – ma poi vi perdereste il catartico finale a suon di bastonate dal vago sapore di revenge movie femminista. Peggio di un film brutto c’è solo un film così privo di carattere da esser dimenticato nei 5 minuti successivi ai titoli di coda, e Breeder – è così che si chiamava? – rientra pienamente in quest’ultima categoria.