Selezionato in numerose kermesse internazionali, Fried Barry di Ryan Kruger è stato presentato anche al Torino Film Festival 38 – sezione Stanze di Rol – e rientra nel novero delle pellicole di cui è difficile scordarsi. L’opera prima del regista sudafricano racconta la storia di Barry (Gary Green) che, dopo l’ennesima bevuta insieme ad un amico, viene rapito da una astronave aliena. Una delle creature presenti a bordo si impossessa del suo corpo e inizia a circolare per una Citta del Capo inedita, quasi desolata. Qui il “nuovo Barry” entra in contatto con le abitudini degli esseri umani: partecipa a rave e fa uso di droghe, entra in una spirale di sesso e violenza, senza però fare i conti con i limiti del corpo umano…
FRIED BARRY, IL FOLLE TRIP DI UN ALIENO NELLA DROGA
Fried Barry non è un film per tutti e non lo vuole neanche essere, basti pensare alla sequenza di apertura. Il protagonista è un uomo per cui è difficile provare simpatia: non ha un grande rapporto d’amore con la moglie Suz (Chanelle de Jager) e non nutre grandi sentimenti per il figlio. Prova decisamente maggiore interesse per la droga, per l’eroina in particolare, e trascorre le sue giornate, quando non è al bar, a minacciare le persone che gli devono dei soldi per la droga. Insomma, non proprio un esempio di vita. L’arrivo degli alieni modifica gli scenari e, anche a causa di ciò che accade nel corso della pellicola, lo spettatore inizia a provare interesse per il cammino del protagonista. Un viaggio folle e frenetico, indecifrabile e allo stesso tempo avvincente, nonostante qualche episodio riempitivo forse sacrificabile.
FRIED BARRY È UN ESORDIO ‘EXTRATERRESTRE’ CHE LASCIA IL SEGNO
Basato sull’omonimo cortometraggio del 2017, Fried Barry vanta una fotografia (firmata da Garet Place) in grado di fare la differenza. La predominanza del verde e del rosso, non a caso colori complementari, accompagna tutto il lungometraggio. I cromatismi delle scene notturne sono ammalianti e riportano alla mente il lavoro di Natasha Braier per Nicolas Winding Refn, mentre per altri aspetti il paragone con un Under the Skin di Glazer sotto steroidi (e acidi) non è troppo avventato. La regia e il montaggio non sono da meno: il linguaggio filmico è dinamico, audace, variegato e piacevolmente invasivo.
Una grande fetta dei meriti dell’ottima riuscita di Fried Barry va al protagonista, un Gary Green in stato di grazia. La sua performance è estremamente fisica, con pochissime battute di dialogo, riuscendo così a trasmettere in modo convincente il suo passaggio da umano ad alieno. Il nuovo Barry funziona a scatti, ha gli occhi sempre spalancati e versa in una condizione di perenne choc. Degna di nota anche l’interpretazione di Bia Hartenstein nei panni di una prostituta che entrerà in contatto con l’alieno. Menzione meritata per la colonna sonora originale di Haezer, decisamente funzionale al ritmo della narrazione.
Fried Barry è un’opera prima che lascia il segno: dopo numerosi cortometraggi e videoclip, Ryan Kruger si conferma un grande talento nel raccontare l’assurdo, la follia, e non possiamo che attendere impazienti il prossimo film!