Uncle Frank, film a tematica queer disponibile in streaming su Amazon Prime Video, è scritto e diretto da Alan Ball (Oscar alla miglior sceneggiatura originale nel 2000 per American Beauty e creatore di Six Feet Under), qui alla sua terza sceneggiatura e alla sua seconda regia. Il film, presentato al Sundance Film Festival il 25 gennaio 2020, conta nel cast Paul Bettany, Sophia Lillis (attrice in It), Peter Macdissi, Steven Zahn.
UNCLE FRANK: UNA STORIA DI OMOSESSUALITÀ AL CONFINE, TRA ACCETTAZIONE E DINIEGO
1973, a Creekville, nella Carolina del Sud, vive una famiglia americana di stampo fortemente patriarcale e rigidamente legata ai costumi cristiani. Frank (Paul Bettany), uno dei figli del pater familias Mac (Stephen Root), svincola dai ‘buoni costumi’ conservatori a causa della sua omosessualità di cui, a quanto pare, è a conoscenza solo suo padre. Nonostante Frank si sia ormai dissociato da questo tradizionalismo reazionario, creandosi una propria vita privata con il compagno Wally (Peter Macdissi) e una professione da rinomato docente di letteratura a New York, lo stampo progressista impresso sulla nipote Beth (Sophia Lillis) e la morte del padre, lo dirotteranno verso le proprie origini per fare i conti con rimozioni, rimorsi e necessità di liberazione.
UNCLE FRANK È UN FILM CHE TEMATTIZZA LE DIFFICOLTÀ DEL COMING-OUT
Seppure lo script di Ball – normalmente grande scrittore – non brilli per innovazione ed eccellenza, manifesta comunque una nobiltà di intenti in un indie-movie che difende il proprio punto di vista su una questione delicata. Il tema pervasivo di Uncle Frank è la diversità qui declinata, articolata e imbrigliata in varie forme: quella culturale, quella di genere, ma soprattutto quella sessuale. L’intreccio è ben strutturato, seppure spesso pecchi di un eccesso di cliché, e crea sottili connessioni in un’alternanza interno-esterno. Infatti, il conflitto tra progressismo e conservatorismo – di fronte al mito/modello repubblicano della perfetta famiglia americana e fondata su sacri valori cristiani – si perverte in un terrorismo psicologico che genera senso di colpa.
INTERIORITÀ ED ESTERIORITÀ DEL CONFLITTO IN UNCLE FRANK
La sceneggiatura di Ball, però, scava ancora più in profondità, muovendosi negli articolari e conflittuali labirinti psichici del protagonista in una prospettiva internalista – con ampio uso di malinconici flashback, poeticamente incastonati in un buon montaggio – e che, come si diceva, controbilancia la prospettiva esternalista dell’innesto culturale sul soggetto. Quest’ultimo diventa vittima di un sistema perverso di acritica obbligazione valoriale e indirettamente carnefice nei confronti di chi porta il “marchio” della diversità. Cultura ed educazione, così, non offrono solo forma alla soggettività, ma la plagiano brutalmente.
LO SCRIPT DI BALL INCARNA LA TENSIONE FRA PROGRESSISTI E CONSERVATORI
Nonostante Uncle Frank non brilli per innovazione sotto diversi punti di vista, la strutturazione della regia, congiuntamente con una direzione discreta della fotografia e con una sceneggiatura che naviga tra il noto e la buona arte di Ball, porta alla definizione di un prodotto che conserva un suo impatto, proprio perché rimugina su una questione mai pienamente soddisfatta. A fare da eco al tema sono gli ambienti dettagliatamente specchio di uno scontro fra visioni culturali dicotomiche e che Ball aveva bene in mente, avendoli dettagliatamente annotati sul copione, secondo quanto affermato dalla scenografa Darcy C. Scanlin. A questo contesto meticolosamente pensato, bisogna aggiungere l’equilibrata scelta di un cast che funziona soprattutto nella trio Bettany-Lillis-Macdissi, con qualche problema di forzatura interpretativa sull’ultimo dei tre.
IL GAY-DRAMA PSEUDO-AUTOBIOGRAFICO DI BALL TRATTA UN TEMA SEMPRE UTILE DA RIPROPORRE
Per sua natura, la tensione dialettica fra forze progressive e regressive è perenne e solida, con le sue ricadute sostanziali sull’individuo e il suo sviluppo etico. Così, quella fetta della società americana ostentatamente conservatrice è esposta alla berlina dal film di Ball che dunque si configura come una denuncia sociale, ma anche lotta personale e film pseudo-autobiografico (tra l’altro il compagno del protagonista, interpretato da Peter Macdissi, è realmente il partner del regista). La necessità di tornare sulla questione è data dall’essenza recidiva del tema, dell’ostracismo degli ambienti conservatori e dalla loro difficoltà di accettazione e riconoscimento. Questa direzione assunta dal film si risolve in maniera forse un po’ troppo idillica per quanto riguarda il carnefice-reazionario, ma realistica per la vittima che, nella sua apertura mentale ed emotiva, arriva a compatire le contro-vittime di un sistema nella loro tragica povertà etica e intellettuale.