#Alive, su Netflix dall’8 Settembre, è il nuovo zombie movie della travolgente onda produttiva coreana, rigorosamente mantenuto in lingua originale. Cho Il-yung dirige un film basato sul webtoondel 2014 Dead Day sche oscilla tra toni drammatici e zombie comedy sulla scia di prodotti come L’alba dei morti dementi (Wright, 2004), Benvenuti a Zombieland (Fleischer, 2009), I morti non muoiono (Jarmusch, 2019). Nel cast figurano attori poco conosciuti sul panorama internazionale come Yoo Ah-in, Park Shin-hye e Lee Hyun-wook.
#ALIVE: UN SOLITARIO GAMER IN UN’APOCALISSE ZOMBIE
Il giovane Oh Joon-woo (Yoo Ah-in), immerso nel suo mondo virtuale da gamer, apprende la notizia di un contagio in atto che rende le persone violente e inclini al cannibalismo. All’interno del proprio appartamento, incapace di comunicare con l’esterno, il protagonista unicamente isolandosi potrà evitare di essere contagiato.
PER #ALIVE UNO SCRIPT NOTO E CURVATO SULL’ANTROPOLOGIA DEL VIRTUALE
#Alive presenta uno script particolarmente obsoleto, con la tipica cornice narrativa da apocalisse zombie. Quella stessa cornice che, in qualche modo, Robert De Feo, con The Nest (2019), era riuscito elegantemente a riscrivere. Cho Il-yung non offre una grammatica nuova, né tantomeno degna del grande cinema coreano, ma arricchisce lo sfondo sociale del classico zombie movie. Se il tema del rapporto natura-cultura e della riscrittura dell’ambiente sociale è vincente – anche grazie all’ormai decaduto The Walking Dead – #Alive offre un ulteriore riflessione a sfondo antropologico: il rapporto reale-virtuale con annessa questione della de-soggettivazione e una riflessione cursoria sulla condizione pandemica.
LA PANDEMIA ZOMBIE COME CROLLO DELLE CERTEZZE
Il protagonista – interpretato da Yoo Ah-in che qui offre una buona prova attoriale – è assuefatto dalla tecnologia. Vive un’esistenza virtuale più densa di quella reale. Lo schermo fa da tramite con il mondo esterno: una postazione pseudo-divina da interazione multidimensionale con l’altro. Le condizioni di possibilità perché questo avvenga sono date dall’esistenza esterna di un sistema sociale efficiente. In quella costruzione sistemica di fiducia, Oh Joo-woo vive sicuro osservando da quella quieta finestra sul mondo. Famiglia, affetti e relazioni sono così auto-evidenti che non si rende necessario porvi più della dovuta attenzione. Tuttavia, questa complessità facilmente si sgretola a fronte dell’esplosione pandemica.
IL VIRTUALE COME ESTENSIONE DELLO SGUARDO
#Alive, così, guarda alla pandemia con inconsapevole attualità e la porta sul livello dell’immaginario riproponendo l’isolamento come unica possibilità di sopravvivenza. La rievocazione a sfondo realistico del supporto umano reciproco, che tanto ci ricorda l’attualità fin troppo familiare della pandemia di Coronavirus, diventa così elemento fondamentale dello script. Altrettanto evidente è resa la struttura protesica della tecnica che permette, in una continuità con quel mondo digitale vissuto dal protagonista, a esplorare virtualmente uno spazio fisico inaccessibile. Da qui l’utilizzo del drone per estendere e allargare l’esperienza del mondo.
NUTELLA E CHAPAGETTI!
Di fronte alle opportunità offerte dalla tecnica, si ripropone l’impellenza del corpo. Il corpo è metafora piena della primordialità, della pura forza inconscia che il virtuale de-soggettivizza, annullandolo. In questo, lo zombie diventa iconicamente rappresentazione del ritorno all’indeterminazione naturale. Un corpo semovente privo di razionalità, rimanenza della privazione della coscienza. Un corpo putrido che cozza con la nitidezza della tecnica, ma che è allo stesso tempo custode di un linguaggio, di un bisogno percettivo. Così, uno split screen ricongiunge virtualmente il protagonista e un’altra fortunata sopravvissuta (Park Shin-hye). Insieme, nella lontananza, consumano un pasto che porta con sé il segno della civilizzazione. La Nutella e i Chapagetti che i due consumano sono insieme resto simbolico e bisogno corporeo, cifra perfetta della natura culturalizzata per mezzo del logo.
LO ZOMBIE MOVIE: IL PARADOSSO DEL CLASSICO CHE RISCOPRE L’ORDINARIO
#Alive è un prodotto ordinario, non di nicchia, ma lavora sui temi per puro caso di grande attualità e lo fa strumentalizzando un soggetto noto. Ricontestualizza un classico dell’horror ai giorni dell’iper-virtualità e, col senno di poi, della pandemia. Non promuove una grammatica nuova, ma riesce a restituire il valore socialmente destrutturante dello zombie movie. Quest’ultimo serve a ricordare alcuni aspetti dell’ordinaria stabilità sociale automatizzata, che è sempre bene ripensarla, rinvigorirla. Nella sua impostazione da horror dramedy, così, il film di Cho Il-yung racconta della necessità del corpo e della civiltà destrutturata dalle sue forme simboliche. Lo fa in un tempo in cui la realtà ha dato prova di poter superare l’illusorio confine disegnato dall’immaginario.