Ma Rainey’s Black Bottom, lungometraggio di George C. Wolfe che ha debuttato il 18 dicembre 2020 in direct to streaming su Netflix, è l’adattamento dell’omonima pièce teatrale di August Wilson. Dramma dalla forte valenza politica ambientato nel mondo della musica blues della fine degli anni ’20, è destinato a essere ricordato soprattutto come l’ultimo film di Chadwick Boseman: il compianto attore di Black Panther e Da 5 Bloods è infatti morto di tumore al colon nei primi giorni di post-produzione della pellicola.
Ma Rainey’s Black Bottom: la trama del film Netflix
Ma Rainey’s Black Bottom si svolge quasi interamente in un pomeriggio del 1927, in uno studio di registrazione di Chicago nel quale la celebre cantante Ma Rainey – realmente esistita, nota anche come la madre del Blues – sta incidendo un nuovo album di inediti. Tra questi la canzone Ma Rainey’s Black Bottom. Ad accompagnarla la sua storica band, insieme a una new entry: il talentuoso cornettista Levee (no: non è un trombettista come scrivono tutti ma un suonatore di cornetta, strumento comunque simile alla tromba), il cui desiderio di affermarsi con le proprie idee innovative crea tensioni nel gruppo.
Tra le claustrofobiche quattro pareti di quello studio in uno scantinato, le tensioni interne alla band – tutta afroamericana – faranno emergere indirettamente le tematiche della questione razziale e dell’identità nera. I diversi modi di porsi nel mondo dei protagonisti si scopriranno infatti sempre definiti dagli abusi dei bianchi, dal rapporto sbilanciato di potere tra etnie e dall’ambizione di una società diversa e più equa e inclusiva.
La spiegazione di Ma Rainey’s Black Bottom: uno dei 10 capitoli di un celeberrimo ciclo teatrale sulla questione razziale
Il regista e co-sceneggiatore George C. Wolfe, prima ancora che essere un cineasta, è un drammaturgo e regista teatrale, e il suo rispetto quasi assoluto per le tavole del palcoscenico è evidente in un approccio che non fa nulla per reinventare il materiale di origine. Wolfe infatti scegli di riproporre quasi intatta l’esperienza teatrale sullo schermo; nella struttura, nei tempi e nelle dinamiche.
La pièce da cui è tratto il film risale al 1982 e fa parte di un ciclo di dieci opere noto come il Ciclo di Pittsburgh (nome che deriva dall’ambientazione comune delle opere, con Ma Rainey’s Black Bottom come unica eccezione col suo setting di Chicago). I lavori hanno tutti in comune la tematica dell’identità nera nel XX secolo e sono ognuna ambientata in un diverso decennio: un disegno artistico di ampio respiro che ha fatto del due volte Premio Pulitzer August Wilson di uno dei principali protagonisti della drammaturgia statunitense e mondiale, portando il New York Times a definirlo «il poeta del teatro sull’America nera».
Denzel Washington, il significato di un percorso che va da Fences a Ma Rainey’s Black Bottom
Non è la prima volta che uno dei capitoli del Ciclo di Pittsburgh viene adattato per il cinema: Fences (Barriere) di Denzel Washington, che ottenne quattro nomination (e una statuetta) agli Oscar 2017, è proprio una delle opere che compongono il progetto di Wilson.
I tratti comuni tra Ma Rainey’s Black Bottom e questo illustre predecessore sono molti, e ne fanno in qualche modo un erede naturale. Fences, prima di diventare un film, ebbe infatti un allestimento teatrale particolarmente fortunato a Broadway, che vide Washington e Viola Davis calcare insieme il palco e valse ad entrambi un Tony Award. Quando il celebre attore hollywoodiano decise di produrre e dirigere una versione per il grande schermo di Barriere, dapprima volle di nuovo al suo fianco in scena la Davis – cui quel ruolo valse poi un Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista – e quindi decise di comprare i diritti di tutto il Pittsburg Cycle.
Denzel Washington strinse un accordo con HBO per gli altri nove titoli ancora non trasposti, e successivamente tale accordo passò da HBO a Netflix. E così che arriviamo al film in questione, che non solo vede Washington come produttore principale ma vede Viola Davis – già tre volte ai Tony con tre diverse opere del Ciclo di Pittsbugh – lavorare per la quarta volta in un lavoro del Century Cycle, stavolta nel ruolo di Ma Rainey.
Nell’ultimo film di Chadwick Boseman interpretazioni da Oscar
La nota più eccellente di Ma Rainey’s Black Bottom sono proprio le interpretazioni, e se in generale il livello di tutto il cast è decisamente alto, a brillare sono senza dubbio le star principali: Chadwick Boseman (Levee) e Viola Davis (Ma Rainey).
Boseman offre un’interpretazione incredibilmente energica e sopra le righe, che se nel contesto di un film propriamente detto sarebbe risultata addirittura un po’ gigionesca, in questo ‘teatro sullo schermo’ è pura linfa vitale. Sapere che il protagonista ha girato il film nelle ultimissime fasi della sua malattia terminale (Chadwick Boseman è morto 12 giorni dopo la fine delle riprese) carica ovviamente l’esperienza di visione di una tragica malinconia, eppure il suo pur drammatico ruolo gode di un’energia adamantina e incontenibile, che rende credibilissimo l’attore nei panni di un rabbioso ventenne pronto a conquistare il mondo.
A rubare però la scena è un’incredibile Viola Davis, che trasformata da un superbo make-up in una corpulenta matrona del blues dai modi ispidi e imperiosi, offre una performance impossibile da ignorare per gli Oscar 2021. Senza dubbio una delle vette più alte della sua carriera, che le permette non solo di prodursi in una prestazione attoriale di assoluto livello ma anche di fare sfoggio di un impressionante talento in qualità di cantante. Se Ma Rainey era “la madre del Blues”, la Davis senza alcun dubbio rivendica qui un ruolo di regina della scena.
Un doppiaggio italiano tra alti e bassi
Nella versione doppiata in italiano del film la maiuscola performance della Davis è resa con grandissimo talento e attenzione al dettaglio dalla sempre impeccabile Ludovica Modugno, mentre lo stesso non si può purtroppo dire per la performance di Boseman, che è fortemente penalizzata da un doppiaggio italiano questa volta non all’altezza della difficile sfida.
A prestargli la voce troviamo di nuovo il bravo Paolo Vivio che, se era assolutamente perfetto per la localizzazione non troppo impegnativa di T’Challa/Black Panther, dimostra di non avere ancora la fibra per reggere un’interpretazione che è forse la più carica di emozione dell’intera carriera di un attore talentuosissimo come Boseman. Il ruolo di Levee è già estremamente sopra le righe e a dargli la giusta misura è solo il difficilissimo equilibrio raggiunto nella performance vocale. Qui il lavoro appena troppo enfatico di Vivio basta a far crollare il labile equilibrio dell’originale.
Normalmente, pur consigliando sempre la visione in lingua originale, non abbiamo alcuna ostilità verso uno strumento di adattamento indispensabile come quello del doppiaggio. Questa volta però – questa volta più che mai – ci teniamo a farvi presente che è solo la versione in lingua originale a poter dare l’idea della potenza del lavoro dietro il film e la consigliamo anche a chi normalmente preferisca optare per la localizzazione italiana. Siete avvisati.
In conclusione Ma Rainey’s Black Bottom va capito e preso per quello che è: se vi aspettate un linguaggio propriamente cinematografico vi ritroverete davanti a un prodotto piuttosto statico e a tratti gigionesco e con dialoghi naïf, ma se accetterete la chiave di lettura offerta da Wolfe e abbraccerete pienamente la matrice teatrale del progetto, avrete davanti una straordinaria, trascinante e disperata opera dal grande valore politico. Targata Netflix.