Con la Trilogia della Vita (1971-1974), appena resa nuovamente disponibile in DVD da CG Entertainment, Pier Paolo Pasolini dipinge un quadro socio-antropologico prendendo spunto dalla situazione sociale degli anni ’70. Tuttavia, quegli stessi confini storici vengono travalicati, lasciando un classico il cui valore critico-trasversale è indiscusso. Il Decameron (1971), I Racconti di Canterbury (1972) e Il Fiore delle Mille e una Notte (1974) hanno così aperto uno squarcio nel pudore e nel bigottismo borghese. Da considerare che la triade pasoliniana porta con sé il peso di un’agonia artistica. Infatti, tormentato è stato il montaggio, così come la sceneggiatura che ha visto diverse stesure. A questo bisogna aggiungere le denunce per oscenità, dato il noto erotismo esplicito presente nei film. Nonostante le controversie, le tre opere ottennero il loro giusto riconoscimento: il primo vinse l’Orso d’Argento (1971), il secondo l’Orso d’oro (1972) al festival di Berlino e il terzo il Grand Prix Speciale della Giuria al 27° Festival di Cannes (1974).
LA TRILOGIA DELLA VITA DI PASOLINI COME DENUNCIA DEL MEDIOEVO CONTEMPORANEO
I primi due capolavori pasoliniani sono, di fatto, inscindibili. Come Chaucer per i Racconti di Canterbury si ispirò al Decameron di Boccaccio per struttura e tematiche, così Pasolini recupera entrambi i classici, riproponendoli con un linguaggio che infrange la maschera della costruzione sociale. La Trilogia della vita è un vero e proprio climax artistico ascendente in difesa della natura umana che culmina con Il fiore delle Mille e una notte. Soprattutto in riferimento ai primi due film, l’onda post-sessantotto cavalcata da Pasolini si concretizza nella denuncia di un medioevo contemporaneo.
LA LINGUISTIC-TURN DELLA TRILOGIA DELLA VITA: IL VERNACOLO COME FORMA DELLA TRASGRESSIONE.
L’opera di Boccaccio tematizzava, sia allusivamente sia esplicitamente, la dissacrazione delle apparenze rispetto alle inibizioni sociali. Il senso della trasgressione passava anche mediante l’uso della prosa in volgare. Stessa struttura in Chaucer che, per far sì che la forma corrispondesse al contenuto dei temi trattati, elevava a lingua il middle-english. In Pasolini, questo si manifesta soprattutto ne Il Decameron, con il mantenimento delle novelle boccaccesche ambientate a Napoli, interpretate non da attori professionisti ma da popolani e con uso efficace del dialetto partenopeo.
“GIÙ LE MASCHERE”: IL DECAMERON PASOLINIANO COME RIABILITAZIONE DI FORZE NASCOSTE
Nel Decameron pasoliniano, novelle come Andreuccio da Perugia o Ser Ciappelletto condensano il valore destrutturante delle maschere sociali. Lo fanno riabilitando la primordialità naturale come distanza dal buon costume. Il tema, dunque, è quello della maschera che fallisce, dell’apollineo e del dionisiaco che vivono di un precario equilibrio. Il periodo contemporaneo, infatti, per eccesso di razionalità non riconosce lo sfogo necessario all’indeterminazione dell’inconscio.
I RACCONTI DI CANTERBURY COME MANTENIMENTO DI UNA STRUTTURA
In I racconti di Canterbury la struttura si ripete, ridisegnando la scissione fra natura e cultura, istinto e civiltà. Nel film del 1972, infatti, seppure con le dovute differenze – come la riduzione della cornice narrativa e la scomparsa della “svolta linguistica” pasoliniana dell’utilizzo del vernacolo – è rilanciata la necessità di evasione dalla trappola del simbolico sociale. Evasione riscontrabile non solo nell’utilizzo di immagini forti (la nudità già presente nella prima opera), quanto anche in un umorismo raffinato. Un esempio ne è infatti la novella di Perkin il festaiolo con il suo rimando a Chaplin, qui interpretato da Ninetto Davoli.
LA TRILOGIA DELLA VITA: PASOLINI E L’OPERA DEL TURBAMENTO
Leit-motiv dell’ipertrofia morale della civiltà medievale è la religione come neo-apollineo, chiaramente presente nelle prime due opere della Trilogia della vita. L’immagine pasoliniana, perché sia portatrice di turbamento, deve perforare lo schermo arrivando con brutalità allo spettatore. La verità è il Reale che non si fa intrappolare dalle forme simboliche, dal pudore o, meta-simbolicamente, dell’abito monacale. Pasolini, così, supera i confini del neo-realismo, raggiungendo un livello di profondità mediante la ristrutturazione del linguaggio cinematografico. Per questo motivo l’improvvisazione degli attori aiuta a conferire linfa vitale, aprendo le porte al disatteso e all’incontrollato.
STORIA DI UN COMPIMENTO ARTISTICO: IL FIORE DELLE MILLE E UNA NOTTE
Oltre le prime due opere, estremamente affini, a conclusione della Trilogia della vita si pone Il fiore delle Mille e una notte. Il classico da cui trae spunto offre uno dei primi casi di cornice narrativa come in Boccaccio e Chaucer, rappresentando una collazione del medioevo orientale. La ricorrenza delle immagini che destrutturano il pudore sociale, la ripresa di una naturalità non condannabile traslano ora il loro riferimento e lo fanno in corrispondenza dello spostamento dell’asse narrativo verso l’Oriente. Così, la trilogia arriva a offrire un quadro geo-storico eterogeneo in cui la pulsione vitale rimane motivo unificante. Nell’opera del ’74, infatti, l’ottimismo pasoliniano arriva al suo punto di culminazione. Qui si riduce il riferimento al morboso contesto religioso cattolico e si compie l’inno alla libertà della natura nella forma dell’incondannabilità dell’Eros.
LA TRILOGIA DELLA VITA RIDISEGNA IL LINGUAGGIO, RIATTUALIZZANDO UN TEMA ESSENZIALE
Quello di Pasolini è uno spostamento sincronico in culture diverse che custodiscono tutte il tono della “umana commedia”. Nella loro rappresentazione, i tre film costituiscono una svolta nel linguaggio e nella raffigurazione di un momento storico. Il movimento tra il linguaggio e il suo oggetto, tra realtà e sua espressione è qui un recupero medievale. Un’antica innovazione che si riattualizza, soprattutto in riferimento all’uso del volgare come avveniva specialmente in Boccaccio e Chaucer. Una volgarità che non è solo segno ma anche oggetto, che usa come referente le forme pure della pulsione sessuale. Pasolini restituisce questo nesso ricontestualizzandolo e scrivendo con il linguaggio contemporaneo del cinema. La nudità del corpo, lo squarcio nel pudore, il volgare borgo partenopeo, i canti popolari, la sessualità esplicita costituiscono il modo per riguadagnare lo “scarto” come forma di espressione.
LE TRE OPERE DI PASOLINI COME CUSTODI DELLA VERITÁ
Questa è la struttura che si ripete, che usa il linguaggio e i suoi referenti, li rielabora fornendogli nuovo spessore. La grandezza di Pasolini sta proprio nell’espressione della verità antropologica, della tensione tra istinto e moralità che, dal Medioevo a oggi, trova mutamento solo nel suo mezzo artistico di espressione e utilizzando maschere sociali differenti, ma sostanzialmente identiche. L’impurità espressiva, qui, coincide con l’impurità del concetto. Il linguaggio torna alle origini: evade il simbolico ed evade se stesso. Scavando nel Reale, la Trilogia della vita resiste al tempo e racconta una condizione umana sempre da riattualizzare. Così, l’opera pasoliniana sopravvive come classico: perché ama riproporsi e affermare con irriverenza la verità.
Un provocatore della morale come Pier Paolo Pasolini fu quasi negativamente stupito dall’accoglienza fin troppo positiva ricevuta dalla trilogia, e meno di un anno dopo l’ultimo capitolo arrivò ad attribuire una sussunzione e superamento del suo discorso sull’erotismo alla corruzione e «falsificazione» dello spirito sessuale giovanile da parte della macchina consumistica. È con questo spirito ancora una volta caustico e rivoluzionario che arrivò a quel folle pervertimento dipinto nel suo ultimo film Salò o le 120 Giornate di Sodoma, e appena conclusene le riprese si pronunciò in occasione delle elezioni regionali e amministrative del 1975 con una netta abiura del suo Trittico della Vita (le sue parole nel video qui sotto). Esattamente quattro mesi e mezzo dopo aver rinnegato un capitolo importantissimo della sua filmografia, Pasolini verrà ucciso in circostanze misteriose sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia. Salò o le 120 Giornate di Sodoma uscirà postumo.