The Midnight Sky, nuovo film di George Clooney, esce su Netflix a ridosso del Natale 2020 – il 23 dicembre, per l’esattezza. È sempre stata abitudine dei network televisivi prima e delle piattaforme di streaming poi quella di ‘regalare’ sotto l’albero dei propri spettatori prime visioni di prestigio che rappresentassero anche un appuntamento se non divertente quantomeno abbastanza confortante da aggregare piacevolmente la famiglia. Ma in quel di Los Gatos pare che abbiano deciso di capovolgere questa consolidata tradizione di fidelizzazione e infierire sadicamente su un pubblico a dir poco provato dall’apocalittico 2020.
THE MIDNIGHT SKY, NUOVO FILM NETFLIX DI GEORGE CLOONEY, PARE UN REGALO DI NATALE DEL GRINCH
Infatti come se quasi un anno di lutto, isolamento e privazioni non sembrasse abbastanza, come se il Natale in semi-lockdown non paresse sufficiente, come se la crisi economica non attanagliasse abbastanza i comuni mortali, ci immaginiamo un Reed Hastings che ride malvagio mentre circondato da pipistrelli suona un tetro organo da una buia e polverosa torre gotica in quel di Los Gatos e prepara per i suoi abbonati un regalo che nemmeno il Grinch si sognerebbe di portare.
Le famiglie che si siederanno insieme sul divano la sera della Vigilia per vedere «il nuovo film di Clooney appena arrivato su Netflix!» si ritroveranno così davanti a un deprimente e soporifero dramma nel quale l’unica certezza è che tutti sono morti, muoiono o moriranno. «Almeno sarà un bel film», obietterete. Ma no, sappiate che non ci va nemmeno un po’ vicino e che anzi è uno dei più brutti progetti ‘di alto profilo’ di cui abbiamo memoria.
IN THE MIDNIGHT SKY GEORGE CLOONEY MORENTE AVVISA ALTRA GENTE MORITURA CHE TANTA GENTE È MORTA
The Midnight Sky, adattamento del romanzo La Distanza tra le Stelle (2016) di Lily Brooks-Dalton, ci porta nell’anno 2049, ma anziché regalarci i Blade Runner di Villeneuve ci introduce al Dott. Augustine Lofthouse (Clooney), astronomo malato terminale che si ritira al Polo Nord mentre il mondo sta morendo – per cause che resteranno ignote per tutta la pellicola – e gli ultimi umani si rintanano nel sottosuolo per sopravvivere ancora un po’ all’aria irrespirabile. Ma come egli non potrà scappare dalla propria malattia, gli abitanti del pianeta non potranno sopravvivere alla morte della Terra.
Lì, solitario, alcolizzato, pieno di rimpianti e vittima di visioni, troverà nascosta nella base una bambina con i capelli castani, gli occhioni azzurri e un bel broncio stampato sulla bocca. Mentre gli spettatori dovranno far finta di non notare alcuna somiglianza e di trovare normalissimo che la bimba giri per l’Artide con un leggerissimo vestitino giallo a maniche corte, il Dott. Lofthouse contatterà una missione spaziale di rientro da Giove, spiegando all’astronauta Sully (Felicity Jones) che – surprise surprise e Buon Natale! – non c’è più un mondo sul quale tornare e che lei e chi rimane del suo equipaggio (pure lui funestato da una iella nera) sono gentilmente pregati di fare inversione a U e trovarsi un altro pianeta in cui stare. Poteva andar peggio: poteva piovere.
UN FILM COSÌ INADEGUATO DA NON MERITARE NEMMENO IL TITOLO DI CAPOLISTA DEI FILM INADEGUATI
Il talento di George Clooney è ben noto: tra i pochi sex symbol a sapersi costruire anche un’immagine estremamente simpatica, ha sempre dimostrato straordinaria versatilità alternando con successo i ruoli di attore, regista, sceneggiatore e produttore. Anche stavolta come interprete funziona bene, ma per quanto imponente sia l’affannoso sforzo che possa aver provato a fare dietro la macchina da presa, ci sentiamo di dire che non sarà mai tanto eroico quanto quello di chi provi a restare sveglio davanti a questo delirio di sgrammaticatura cinematografica, le cui due ore hanno una durata percepita di circa due ere geologiche e nel quale mal riposti slanci autoriali cedono il passo a scenette da pubblicità del Mulino Bianco e a colpi di scena da telenovela sudamericana. Il tutto all’insegna di un’opprimente iettatura che tutto abbraccia, tanto per alleggerire ulteriormente il clima delle Feste di questo 2020 già così frizzante.
LA SCENEGGIATURA DI THE MIDNIGHT SKY È UN DISASTRO CHE RACCONTA UN DISASTRO: LA SPIEGAZIONE DELLA STORIA E DEL FINALE
Certo, si fa presto a fare i leoni da tastiera demolendo dalla poltrona del proprio studio il lavoro di un due volte premio Oscar, quindi permetteteci di entrare nel dettaglio per motivarvi tanta – giustificata– acredine per le due ore perse. The Midnight Sky si regge malamente su uno script (firmato dal Mark L. Smith di The Revenant) che fa acqua da tutte le parti.
Non c’è un focus tematico chiaro perché nemmeno siamo sicuri se dietro l’estinzione dell’umanità ci sia o meno un disastro ecologico; gli obiettivi del protagonista rimangono fumosi e inconsistenti; non c’è la benché minima struttura giacché ciò cui assistiamo sembra un patchwork di episodi senza alcun nesso e di modestissimo interesse, e non c’è un solo serio tentativo di creare aspettativa ed empatia nello spettatore.
Difatti il protagonista non ha un futuro, la bambina è pressoché muta ergo non permette alcuna interazione significativa, gli abitanti del pianeta Terra sono tanto assenti che è come se fossero già interamente estinti, e l’equipaggio dell’astronave è così decerebrato – roba da Darwin Awards – che è impossibile farsi minimamente coinvolgere a livello emotivo.
Stendiamo poi un velo pietoso sul finale, che vorrebbe innalzare all’improvviso la posta emotiva della pellicola ma riesce soltanto a infastidire con un colpo di scena telefonato già dai primi 5 minuti di metraggio e intriso di stucchevole ruffianeria.
GEORGE CLOONEY VORREBBE UNO SCI-FI PREGNO DI SIGNIFICATO, MA DESPLAT CERCA LA FAVOLETTA
Se lo script pone fondamenta che non basterebbero nemmeno per una palafitta, a rappresentare la più evidente e incontenibile falla del film è la totale assenza di una visione registica e una disomogeneità insanabile dovuta a toni totalmente randomici.
The Midnight Sky non sa infatti cosa essere: propone meditazioni esistenziali solitarie che hanno un evidentissimo debito verso la fantascienza di Andrej Tarkovskij (come se Clooney non avesse già fatto abbastanza danni nel remake di Solaris), scene d’azione direttamente trapiantate da Gravity di Cuarón e imbarazzanti siparietti di improbabile gaiezza – purtroppo indimenticabile quello del lancio di pisellini lessi che per qualche misterioso motivo fanno il rumore di sassi.
A peggiorare vistosamente un quadro di suo già insanabile vi è poi la sempre inopportuna colonna sonora di Alexandre Desplat, che flessibile come una stele di marmo si ostina a riciclare le solite soluzioni orchestrali dal sapore sognante (altrove perfette) in un contesto in cui nulla sarebbe più fuori luogo.
In conclusione, c’è qualcosa che si salva in The Midnight Sky? Certo: come già detto la performance di Clooney se espunta dal contesto franante sarebbe solidissima, e anche l’idea coraggiosa di riproporre una fantascienza meditativa e dilatata – se perseguita con più determinazione e un minimo di lucidità – sarebbe graditissima. C’è addirittura una drammatica scena a gravità zero che è decisamente d’impatto.
Il punto è che, se proposta in un altro momento storico, questa pellicola da 100 milioni di budget sarebbe stata semplicemente un’opera non riuscita; un film sbagliato prodotto e distribuito da una piattaforma che per 12 mesi ci ha regalato infinite ore di eccellente intrattenimento. Ma proposta a Natale – e a Natale del 2020 – è una mossa masochista con cui Netflix è pronta a rovinare le giù traballanti serate festive dei suoi clienti. Un dramma totale che nonostante tutto non riuscirà a commuovervi, ma al massimo a farvi fare gli scongiuri tra uno sbadiglio e l’altro. Non dite che non vi abbiamo avvisati.