Gretel e Hansel è il film horror-fantasy diretto da Oz Perkins, che rivisita la celebre e quasi omonima fiaba classica del folklore tedesco. Distribuita in home video in Italia da Midnight Factory (la costola sempre attenta agli amanti dell’horror di Koch Entertainment), la pellicola vede come sceneggiatore Rob Hayes. Nel cast Sophia Lillis (Uncle Frank, 2020) e Samuel Leakey insieme ad Alice Krige (Thor: The Dark World, 2013; The OA, 2016-2019) e Jessica De Gouw (The Crown, 2019).
GRETEL E HANSEL, UNA RISCRITTURA DEL CLASSICO PER ANDARE INCONTRO ALLE NUOVE POLITICHE HOLLYWOODIANE
La trama del film di Perkins non si discosta molto dalla classica storia messa nero su bianco dai fratelli Grimm, anche se tenta di rileggerla con poca convinzione ammiccando goffamente al nuovo femminismo Hollywoodiano. L’anastrofe del titolo porta in primo piano la figura di Gretel (Sophia Lillis) a dispetto di quella di Hansel (Samuel Leakey), ponendola in relazione a un’atmosfera pseudo-medievale che associa la femminilità alla stregoneria. Un tentativo che in una certa misura abbiamo recentemente già incontrato nel fallimentare Mulan (Niki Caro, 2020).
GRETEL E HANSEL: FOTOGRAFIA E SCENOGRAFIA SONO I PUNTI FORTI DEL FILM
Perkins non butta tutto all’aria e, almeno, scommette bene sulla scenografia e sulla fotografia di Galo Olivares. Con l’uso di atmosfere selvagge ampie e aperte, la direzione della fotografia e le scenografie rendono ottimamente lo spaesamento tipico del perturbante. Alberi che svettano nell’oscurità, strane figure che strisciano nell’ombra della foresta frutto di un errore pareidolico e la complessità di immagini chiuse in forme geometriche definite conferiscono un tono deciso alla fotografia che si chiude spesso in inquadrature claustrofobiche. Questo elemento, insieme alla buona prova di Sopha Lillis, non nasconde però come Gretel e Hansel cerchi di imitare le atmosfere di The Witch di Eggers (2015) e l’iconicità architettonica di Midsommar di Aster (2019) senza raggiungerne l’eccellenza.
GRETEL E HANSEL E I LIMITI DI UN FOCUS TEMATICO TROPPO NETTO
Le atmosfere del film rinviano anche al The Village di Shyamalan (2004) e al senso di smarrimento di The Blair Witch Project (Myrick, Sánchez, 1999), così come la giovane Lillis evoca la figura inquieta di Millie Bobby Brown in Stranger Things, eppure la ricchezza di attingimenti all’immaginario di genere degli ultimi decenni non è riverberato dalla costruzione narrativa complessa che il soggetto meriterebbe. Il rimando tematico alla questione di genere sembra infatti l’unico focus dello script e la stregoneria diventa più che mai affermazione del potere femminile come possibilità di controllo – la qual cosa peraltro non è certo una novità. Così torna pure lo spunto psicoanalitico della madre che aspira al ricongiungimento biologico con la prole, qui esplicitato letteralmente come un fagocitamento vero e proprio, ma senza la grazia già vista in quel trattato di psicologia infantile che è Nel Paese delle Creature Selvagge di Jonze.
PERKINS E IL FEMMINILE NELLA FIABA DELLA VON FRANZ
Perkins cerca quindi un riscatto per il femminile, scavando agli esordi della storia della narrazione folkloristica. Utilizza un classico come Hänsel e Gretel, volendo quasi riscrivere Il Femminile nella Fiaba della von Franz (1983). Gretel e Hansel, se da un lato prende la giusta piega perturbante, dall’altro è imbrigliato nelle sponde sicure di una fiaba per bambini e l’affermazione dell’io narrativo di Gretel che reclama la sua parte dicendo ad Hansel «sarò io a scrivere la mia storia» è un’idea meta-narrativa buona, me fin troppo esplicitata. Tutto ciò fa di Gretel e Hansel non l’originale horror politico che avrebbe voluto e potuto essere, ma una già nota favola dark dal debole twist femminista, salvata principalmente dall’obiettivo fatato di Olivares.