Duro, serrato ed emozionante: il documentario di esordio di Radu Ciorniciuc, intitolato Acasa, My Home, non rischia di passare inosservato. Il giovane regista romeno, che vanta un passato da giornalista investigativo, ha presentato il suo primo film nel concorso doc del Trieste Film Festival 2021, dopo aver già raccolto il premio speciale per la fotografia al Sundance 2020 e quello per il miglior film sul tema dei diritti umani al festival di Sarajevo.
Acasa, My Home racconta la storia della famiglia Enache – nove bambini e i loro genitori – che ha vissuto per due decenni nell’area disabitata e incolta del Delta di Bucarest, un bacino idrico abbandonato alla periferia della metropoli. La famiglia viene però sfrattata quando questa zona viene trasformata in un parco nazionale pubblico e viene trasferita in città, una realtà che i nove figli non conoscono. I piccoli che trascorrevano le giornate nella natura devono imparare a conoscere la vita urbana, anziché andare al lago devono andare a scuola e le canne da pesca vengono scambiate con i cellulari. La loro identità viene quindi trasformata, insieme al senso di libertà ed ai legami familiari…
ACASA, MY HOME, UN DOCUMENTARIO FOLGORANTE SU UNA FAMIGLIA ROM DAVANTI AL CAMBIAMENTO
Radu Ciorniciuc ha trascorso tre anni con la famiglia Enache per girare Acasa, My Home, riuscendo ad instaurare un rapporto di fiducia che gli ha permesso di filmare in piena libertà anche i momenti più intimi e delicati. C’è una sensibile differenza tra la vita nella baracca sita nel Delta di Bucarest e quella di città: può sembrarci ovvio, ma per questa famiglia Rom, soprattutto per i nove figli, non lo è.
I ragazzini erano soliti scappare alla vista dei servizi sociali, pescare per portare a casa pranzi e cene, o ancora dormire una notte su una panchina per puro svago. Dal più grande al più piccolo, i figli del capofamiglia erano sempre in movimento tra divertimento e “lavoro”, senza mai interfacciarsi con il mondo reale. O, per usare le parole del padre Gica, con la “società malvagia”.
LA POVERA FELICITÀ DEGLI ZINGARI DI BUCAREST E QUEL CAPOFAMIGLIA REFRATTARIO A OGNI REGOLA
La svolta arriva con la demolizione della capanna, di quella che era diventata la loro casa a tutti gli effetti, ed il susseguente viaggio nella “civiltà”. I piccoli iniziano ad andare a scuola ma devono anche fare i conti con il razzismo altrui nei loro confronti. Devono fare i conti con la cattiveria e l’ostracismo. Con le regole della società e del buonsenso. Una vita totalmente nuova, semplicemente.
Non è facile provare compassione per il capofamiglia Gica, che per scelta consapevole decide di non mandare a casa i figli – anzi, brucia direttamente i libri – e non rappresenta certo il principale dei buoni esempi, basti pensare alla mancata adeguata assistenza sanitaria per la prole. Non sono pochi gli episodi di tensione con le forze dell’ordine, in particolare nella prima parte di Acasa, My Home: più volte la polizia lo rimprovera per il bracconaggio, per aver bruciato immondizia o ancora per aver piantato salici illegalmente.
INDIRETTAMENTE ACASA, MY HOME È LA DENUNCIA DI UNO STATO CHE NON C’È
Acasa, My Home ci racconta anche l’assenza dello Stato, che offre poche e dubbie soluzioni ad una situazione difficile, con la costante minaccia di portare via i figli ai due genitori. Il documentario mostra anche di quanto possa bastare poco per essere felici. Basta anche solo essere lasciati soli, in pace, ai margini di una società che li ha forse dimenticati. A torto o a ragione, non è questo il punto.
Dal punto di vista tecnico impossibile non segnalare la meravigliosa inquadratura dall’alto in apertura del documentario, che segna idealmente una netta divisione tra il mondo degli Enache e quello degli “altri”, tra il vasto parco verde e il grigiore della città.