Presentata lo scorso anno al Sundance Film Festival e alla Berlinale, nonché premiata come Miglior Film al Festival di Sarajevo, Exile (titolo originale Exil) è l’opera seconda di Visar Morina. In concorso al Trieste Film Festival 2021, il lungometraggio tratta temi spinosi e attuali con un punto di vista estremamente interessante e non convenzionale, e mira a mettere in discussione le certezze dello spettatore.
IL PROTAGONISTA DI EXILE (EXIL) È UN IMMIGRATO KOSOVARO IN GERMANIA CHE SI SENTE DISCRIMINATO
Xhafer (Mišel Matičević) è un ingegnere farmaceutico quarantacinquenne; un kosovaro trapiantato in Germania che vive una vita apparentemente perfetta – con una bella casa, una splendida famiglia e un lavoro invidiabile. Tuttavia l’uomo si sente discriminato per le sue origini: quando trova un ratto morto appeso al cancello di casa è convinto che i responsabili siano i suoi colleghi. Il susseguirsi degli eventi non fa altro che accentuare tutte le sue preoccupazioni. Ma il sospetto si poggia su basi reali oppure è frutto della sua mente?
EXILE (EXIL) TRATTA DI RAZZISMO E INTEGRAZIONE SENZA ALCUN TIPO DI RETORICA
Nato a Pristina ma cresciuto in Germania, Visar Morina con Exile (Exil) non mette in scena una storia realmente accaduta ma indubbiamente la sua esperienza personale ha pesantemente influenzato la pellicola.
Quello che colpisce maggiormente nel film è la capacità dell’autore kosovaro di rappresentare un percorso di integrazione, all’apparenza riuscito, dalle sfumature oscure. Innanzitutto è illuminante la figura del protagonista: Xhafer infatti è un personaggio scritto con grande ricchezza di dettagli; un brillante professionista ma anche un fedifrago.
Il rapporto che l’uomo ha con i concittadini tedeschi (tra cui la famiglia della moglie) è il prodotto di un clima non esattamente inclusivo nei suoi confronti. Ciò influisce pesantemente sulla psiche del personaggio e il regista, abilmente, gioca sulla contrapposizione tra realtà e immaginazione, tanto che lo spettatore non riuscirà mai veramente a capire se si trova davanti alle ossessioni compulsive di Xhafer e a reali comportamenti discriminatori.
Anche il linguaggio filmico, dal punto di vista estetico, gioca sui contrasti: la fotografia luminosa, quasi satura, è in antitesi con l’atmosfera cupa che si respira nel lungometraggio: è evidente come il modo di girare di Morina, raffinato nello stile e nella costruzione dell’inquadratura, sia ispirato dal miglior cinema d’autore europeo contemporaneo – si pensi a Yorgos Lanthimos, per fare un nome.
Il ritmo calmo ma inesorabile di Exile (Exil), nel corso delle sue due ore, si insinua nelle viscere dello spettatore, coinvolgendolo fino ad un finale aperto che pone numerosi quesiti. Un plauso per l’ottima riuscita del film va inoltre anche agli attori coinvolti nel progetto, capitanati da Mišel Matičević (perfetto nell’interpretazione del tormentato Xhafer) e da Sandra Hüller (l’attrice di Vi Presento Toni Erdmann, che qui veste i panni della moglie del protagonista).
Tra semi-autobiografia e racconto grottesco, il lavoro di Visar Morina coglie con precisione chirurgica le problematiche di chi sogna una vita migliore in un paese straniero, denunciando le incrinature di quell’idea di società integrata che purtroppo – anche nella civile ed aperta Europa – rimane in parte una chimera.