I’m Your Woman è il thriller neo-noir diretto da Julia Hart, prodotto da Rachel Brosnahan e Jordan Horowitz (La La Land, 2016). Il film, distribuito da Prime Video, ha inizialmente debuttato all’American Film Institute Festival. La Hart dirige una splendida Rachel Brosnahan (The Marvelous Mrs Maisel) affiancata da Arinzé Kene, Marsha Stephanie Blake, Bill Heck e Frankie Faison.
I’M YOUR WOMAN: STORIA DI UNA DONNA, TRA APATIA E RISCATTO
Jean (Rachel Brosnahan) è una casalinga priva di stimoli esistenziali, nonché moglie di un criminale, Eddie (Bill Heck). Sull’uscio di casa, il marito si presenta con in braccio un bambino di pochi mesi annunciando a sua moglie che sarà loro figlio. L’apatica vita di Jean è così obbligata a una svolta vitalistica. Infatti, accanto alla cura del bambino, la donna sarà obbligata alla fuga a causa di pericolosi eventi che coinvolgeranno il marito.
POCHI DIALOGHI PER UNA NARRAZIONE AFFIDATA ALL’INTERPRETAZIONE DELLA BROSNAHAN
I’m Your Woman, seppure mostri fatica in alcuni punti dello script, è un prodotto che gode di un ottimo stile di regia. Non tanto le tonalità scenografiche del colore che rendono il neo-noir, quanto anche l’assenza di dialoghi densi lasciano all’interpretazione della Brosnahan l’espressione della profondità narrativa. Oggetto essenziale dello script è, di fatto, l’evoluzione di una femminilità intorpidita. Come Jean afferma, dialogando con il taciturno Cal (Arinzé Kene), lei non è abituata a “cavarsela da sé”.
IL RISVEGLIO DELLA FEMMINILITÁ IN I’M YOUR WOMAN
Il lavoro della Hart, che strumentalizza una narrazione thriller, mira a raccontare una strutturale forma di riscatto. Il risveglio di Jean, che viene brutalmente gettata nel mondo dell’esistenza reale, diventa il tema portante di un soggetto solido. Il viaggio cinematografico su un’interiorità spenta passa qui attraverso percorsi indecifrabili. La prima fase del risveglio di Jean è un castello kafkiano, senza scopo, fuori dalle sicure mura domestiche.
I’M YOUR WOMAN: IL RITRATTO DI UNA DONNA CHE SI DISGREGA
La sequenza di apertura offerta dalla Hart è quella di una donna in realtà sull’orlo del crollo, dedita a bere il suo cocktail in una raffinata veste viola. Lo sviluppo progressivo di I’m Your Woman mostra il decadimento di questo ritratto opulento. Dall’arrivo del piccolo Harry, alle continue fughe, l’immagine iniziale di Jean viene sapientemente destrutturata e ricostruita. Fino al momento della scossa esistenziale che la obbliga ad autodeterminarsi, Jean era solo un’appendice, il possesso di qualcun altro. Lo stato iniziale era quello di un’etero-identificazione – espressa già nel titolo – che necessita della presenza dell’altro per assumere valore, proprio come avveniva in quel quadro di Jacqueline Kennedy offerto da Pablo Larraín in Jackie (2016). La protagonista, dunque, deve uscire fuori dal suo stato di minorità per autonomizzarsi. Una condizione rappresentata nella sequenza di chiusura, in cui si coglie lo sguardo solido di una femminilità determinata.
IL FILM DELLA HART CHE DOSA BENE: TRA ARETHA FRANKLIN E RAPPRESENTAZIONI ESISTENZIALI
I’m Your Woman è la storia di una condizione, nota e rimpastata più volte. Tuttavia, lo stile di regia della Hart, lavora con cura sulle modalità espressive di questa narrazione. Lo fa con cautela, ma dosando sapientemente i giusti ingredienti. Dalla fotografia quasi seppiata di Bryce Fortner, alle musiche di Aska Matsumiya condite con le interpretazioni di Aretha Franklin di “Natural Woman” e “The Weight”, il lavoro della Hart sa elevarsi in modo raffinato. Se c’è un altro importante protagonista da non sottovalutare, quello è proprio il piccolo Harry. Il neonato è rappresentazione piena dell’ingenuità pura, di un’esistenza ancora non corrotta e inconsapevole. Il riscatto alla vita di Jean inizia proprio da questo, da un atto che rievoca l’etica della cura. Così, I’m Your Woman è uno scorcio cinematografico che mostra insieme il dramma della consapevolezza e l’innocenza dell’incoscienza.